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La Svizzera discute sul riconoscimento delle comunità religiose

C’era una volta una Svizzera suddivisa fra protestanti e cattolici… e c’è oggi una Svizzera in cui i riformati sono scesi al 25% (erano il 48% nel 1970), i cattolico-romani al 37%  e coloro che si dichiarano non appartenenti ad alcuna religione sono quasi il 25% (erano poco più dell’1% nel 1970). E poi ci sono «gli altri»: musulmani (5,1%), altri cristiani (5,8%), altre religioni (3%).

È inevitabile che le leggi debbano adeguarsi ai cambiamenti avvenuti nella società, rispondendo alle sue mutate esigenze.

Nei cantoni di Vaud e Neuchâtel è già in atto la discussione su un progetto di legge che riconosca ufficialmente queste comunità; nelle altre parti della Svizzera romanda soltanto Ginevra sancisce una separazione netta fra Stato e chiese e non prevede alcun riconoscimento ufficiale. Negli altri cantoni il riconoscimento è previsto in modo generico, ma non è ancora stata definita una procedura.

Nel cantone di Vaud, lo scorso 25 novembre la Federazione delle chiese evangeliche di Vaud (Fev) ha chiuso i termini per l’adesione alla richiesta di procedura di riconoscimento da parte dello Stato. Comincerà ora un periodo di scambi e valutazioni che potrebbe durare anche alcuni anni. In ballo, il diritto a essere consultate in caso di materie che le riguardano (religiose o etiche), ma anche l’impegno a favorire la pace religiosa, sociale e il dialogo interreligioso, oltre a garantire massima trasparenza (soprattutto dal punto di vista delle fonti di finanziamento) e alla finalità non di lucro.

E questo vale per tutte le confessioni: se da un lato ne viene riconosciuto il ruolo sociale e culturale, di interesse pubblico, delle comunità religiose, nel rispetto della loro autonomia, si chiede loro il rispetto delle leggi (nazionali e internazionali), un’organizzazione democratica in linea con quanto prescrivono le leggi, l’inserimento nel tessuto sociale e civile elvetico (ad esempio con la padronanza della lingua).

Questi in sostanza i termini in cui si muove il dibattito sul riconoscimento delle comunità religiose diverse da quelle maggioritarie e già riconosciute, le chiese riformata, cattolica cristiana e cattolica romana, che comporterebbe alcuni vantaggi non trascurabili come l’accesso alla cappellania (in scuole, ospedali e prigioni), l’inserimento della propria religione a scuola, esoneri fiscali e accesso alle imposte ecclesiastiche.

La questione è discussa anche nel cantone di Neuchâtel, dove è stata portata il 7 novembre al Grand Conseil tramite un disegno di legge “partorito” all’insegna dell’equilibrio dopo diversi anni di lavoro dalle tre chiese riconosciute dal governo cantonale (qui come in altri dieci casi). Per 71 voti a 35 il Conseil ha deciso di rinviare il dossier in commissione, sottolineando ad esempio come la questione sia ormai superata dai fatti di «una società che si considera laica» (come si legge su Protestinfo, che riporta la notizia). Motivazioni che i promotori del disegno di legge, in primis Christian Miaz, presidente del Consiglio sinodale della Chiesa riformata del cantone di Neuchâtel (Eren), faticano a comprendere, convinti al contrario che questo sia «il modo di assicurare una pace religiosa all’interno della Costituzione». Adottata nel 2000, la Costituzione del cantone tiene infatti conto della diversità religiosa, prevedendo all’articolo 99 che una legge definisca la procedura di riconoscimento delle varie confessioni.

Si tratterebbe quindi di mettere in atto quanto già previsto, e più d’uno accusa che la questione, dal livello religioso e civile, sia stata trasformata in questione politica…

Evangelici, musulmani, ebrei e buddisti sono i primi a essere interessati: anglicani ed evangelici hanno già presentato le loro candidature, i musulmani lo faranno entro l’anno. Sempre che il tutto non venga bloccato da un referendum…