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Ecumenismo. Quale futuro per l’Europa?

 

“Quale futuro per l’Europa?”. E’ attorno a questa domanda che si e tenuta a Praga dal 30 novembre al 1° dicembre, la consultazione delle chiese dell’Europa centro-orientale membro della Conferenza delle chiese europee (KEK). Oltre 40 partecipanti provenienti da 14 nazioni – non soltanto dell’est europeo, ma anche dall’Italia, dalla Norvegia e dalla Francia -, hanno condiviso le loro riflessioni sulla lettera aperta che la KEK ha stilato in vista della propria Assemblea generale, in calendario dal 30 maggio al 6 giugno prossimi a Novi Sad (Serbia).

«Quella di Praga è la quinta consultazione pre-assembleare tenutasi quest’anno, dopo quelle in Islanda, Scozia, Belgio e Grecia – ha spiegato Peter Pavlovic, segretario agli studi della KEK -. Si tratta di una modalità che permette alle chiese di diverse aree geografiche di esprimere il proprio particolare punto di vista sulle questioni che accomunano i cristiani europei».

Il futuro di un’Europa che non può connotarsi solamente come un’entità economica ma che deve proporsi come “comunità di valori condivisi”, è stato il tema affrontato nei diversi interventi in plenaria.

«Un’affermazione che in linea di principio vede tutti d’accordo, ma che trova il primo ostacolo nella definizione dei “valori comuni” che ogni chiesa tende a interpretare in modo diverso», rileva il pastore Luca Baratto, presente a Praga in rappresentanza della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

«C’è chi parla di “valori cristiani” riferiti all’etica, chi ai ‘valori identitari’ di un’Europa che difende, piuttosto che affermare, le sue radici cristiane contro il multiculturalismo e la secolarizzazione. In realtà, – ha precisato Baratto – quelli in discussione sono i valori della comune cittadinanza europea affermati dalla Charta ecumenica : i diritti umani, la pace, la giustizia, la libertà, la tolleranza, la partecipazione e la solidarietà».

A un’Europa che vede rinascere nazionalismi e in cui gli Stati reclamano per sé maggiore sovranità, Tamas Beres, docente di teologia sistematica all’Università di Budapest, ritiene che le chiese «possano offrire il modello ecumenico di “unità nella diversità”».

“«l movimento ecumenico – ha sottolineato Beres nel suo intervento in plenaria – persegue la ricerca dell’unità non attraverso l’omologazione e la perdita delle singole identità, ma nella loro valorizzazione. Questo è un messaggio e una testimonianza importante da porgere anche nell’ambito secolare».

Lo stesso punto è stato ribadito dall’intervento dall’anglicano Christopher Hill, presidente della KEK, che ha aggiunto altri elementi di riflessione: la responsabilità delle chiese nello spezzare il legame tra religione predominante e Stato nazione, e un rilancio dei motivi che hanno dato il via al processo di Unione europea che aspiravano essenzialmente alla pace tra i popoli d’Europa.

«La predominanza delle questioni economiche all’interno della UE non è solo responsabilità di Bruxelles, ma anche di quelle nazioni che hanno aderito all’unione per motivi prevalentemente economici», ha affermato Hill.

Infine, il segretario generale della KEK, Heikki Huttunen, ha dato alcune informazioni sull’organizzazione dell’Assemblea di Novi Sad che vedrà, tra gli oratori ospiti, il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans.

 

Foto: un momento dei lavori a Praga