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Il nuovo Codice antimafia all’esame del Senato

Nella giornata di oggi la riforma del Codice antimafia arriva nell’aula del Senato, dopo che alla Camera era stato approvato in prima lettura nel novembre del 2015. Si tratta di un provvedimento che, dopo il primo passaggio parlamentare, era rimasto in commissione Giustizia al Senato fino al 27 aprile 2017, senza però uscirne con la certezza dell’approvazione.

I trenta articoli del nuovo Codice, infatti, sono fortemente avversati dai parlamentari di Forza Italia e di Alternativa Popolare, la formazione del ministro degli Esteri Alfano, che non accettano alcune tra le misure centrali della riforma. In particolare, spiega Alberto Vannucci, docente di Scienze politiche all’Università di Pisa, dove è direttore del Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, «quello che sta generando maggiore divisione politica è il fatto che per la prima volta viene riconosciuto che una serie di reati contro la pubblica amministrazione, e soprattutto i reati più gravi come la corruzione, la concussione, il traffico di influenze, reati che ruotano intorno al malaffare politico e amministrativo, visto il loro legame simbiotico con la realtà della criminalità mafiosa rientrano in quello che viene chiamato “doppio binario”, cioè il trattamento particolarmente attento da parte dell’ordinamento giudiziario che vede l’applicazione di misure di prevenzione anche ai soggetti coinvolti in questo tipo di attività».

All’atto pratico, questo elemento introdotto nel Codice significa che d’ora in avanti sarà possibile sequestrare e poi confiscare, con la prospettiva di un riutilizzo sociale, non più soltanto i beni dei mafiosi, ma anche quelli dei corrotti, dei corruttori, dei concussori, di tutti i soggetti che appartengono al mondo dei cosiddetti “colletti bianchi”.

Alla Camera, dove il testo è stato votato l’11 novembre 2015, tra i reati figurava anche il peculato, ma al Senato è scomparso nel tentativo di raccogliere maggiore consenso intorno al testo, finora però senza successo. Nello specifico, dai banchi di Alternativa Popolare, da sempre contro il “doppio binario”, si era proposto di inserire norme per rendere più facili i ricorsi in Cassazione anche per i mafiosi, sia per vizi di legittimità che di motivazione, così come un un sistema più rigido per le misure preventive. Finora, però, dal governo e dalla maggioranza Pd non è arrivata nessuna apertura in questa direzione.

La legge di iniziativa popolare, lanciata da Io riattivo il lavoro e sostenuta da una grande quantità di firme, è stata promossa negli scorsi anni da una rete di realtà sociali che va dalla Cgil a Libera, passando per organizzazioni come Arci, Acli, Legambiente e Avviso pubblico. Oltre al “doppio binario” anche per corruttori, corrotti e concussori, «ci sono diversi altri elementi innovativi interessanti», ricorda Vannucci. «Per esempio – spiega – in virtù anche delle problematiche di alcune inchieste giudiziarie che ci sono state nella gestione dei beni dei mafiosi, è prevista una profonda riforma dei meccanismi di assegnazione della gestione dei beni agli amministratori giudiziari, nella quale si assicura una maggiore trasparenza e una maggiore correttezza. Sono previste forme di rotazione nell’assegnazione degli incarichi e l’istituzione di albi che in qualche modo certificano la qualità delle prestazioni di questi amministratori».

Inoltre, nella proposta di legge, che porta la firma di Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, è prevista anche una riorganizzazione complessiva di tutta la struttura dell’agenzia nazionale per i beni confiscati, «che finora – afferma Vannucci – ha operato con grossi limiti e ora dovrebbe diventare uno strumento di serio supporto all’azione della magistratura nonché anche di velocizzazione dei procedimenti che dovrebbero portare alla confisca e al riutilizzo a fini sociali dei beni dei mafiosi». Un altro punto che viene trattato nel nuovo Codice riguarda misure che cercano di impedire che le imprese collegate, direttamente o indirettamente, alle organizzazioni mafiose, possano partecipare agli appalti. «Fino a oggi – ricorda su questo punto Alberto Vannucci – queste aziende hanno aggirato i regolamenti sfruttando modalità che permettevano loro di entrare con quote ridotte all’interno di consorzi nei quali magari comunque avevano un ruolo egemone di fatto, data la loro provenienza e contiguità con le organizzazioni mafiose, senza la necessità di fornire la certificazione antimafia, quindi prescindendo da questo elemento che invece si è rivelato, pur con tutti i suoi limiti in alcuni contesti, un deterrente abbastanza efficace».

Il percorso della legge non è semplice, perché l’opposizione è forte e la via è stretta. L’unica possibilità, infatti, è che il testo venga approvato senza modifiche. «Lo stravolgimento – avverte Vannucci – preluderebbe con assoluta certezza alla non approvazione, perché semplicemente questo richiederebbe un ulteriore passaggio alla Camera, perché entrambi i rami del Parlamento devono approvare la legge nello stesso identico testo. In tal caso non ci sarebbero quasi sicuramente i tempi tecnici per l’approvazione». In realtà, i tempi sono comunque stretti, perché anche se il Senato dovesse arrivare a una rapida approvazione, l’ulteriore passaggio alla Camera potrebbe essere incompatibile con un’eventuale fine anticipata della legislatura. Il governo per ora non ha posto la fiducia sul Codice, ma questo non vuol dire che sarà disposto a cambiarlo. Il codice, già ritoccato in commissione, dovrà passare in aula entro la settimana, per tornare alla Camera per il sì definitivo.

Tuttavia, i casi che la cronaca porta sui quotidiani, fanno pensare che un nuovo Codice antimafia, per quanto ben studiato, non possa risolvere da solo la situazione italiana. «I fenomeni di cui parliamo – prosegue Vannucci – sono tra loro sempre più intimamente intrecciati, perché le mafie sono soggetti che hanno un enorme potenziale corruttivo e al tempo stesso la presenza di corruzione attira come una calamita le organizzazioni mafiose che spesso svolgono il lavoro di regolatori, di garanti del funzionamento dei patti corruttivi. Una realtà di questo tipo, in cui la criminalità dei colletti bianchi, quella della classe dirigente di questo Paese, sempre più spesso si salda con la manovalanza criminale, come dimostrato dall’inchiesta su Mafia Capitale, viene inquinata la democrazia, che dipende anche da economia, finanza e pubblica amministrazione. Un simile sistema non si può combattere soltanto con virtuose riforme dei codici, incluso il codice antimafia».

Il fatto che la legge sia nata in seno alla società civile, comunque, rappresenta un motivo di speranza, perché potrebbe essere un segno di una presa di coscienza collettiva, in grado di rendere più sistematico quello che già emerge, in modo episodico, in occasione di alcuni scandali politici o di alcuni eventi. «C’è però bisogno di un collante che dia in qualche modo una visione d’insieme, una progettualità a queste molte esperienze dal basso. La risposta non può che essere una risposta che chiama in causa la corresponsabilità di tutti, per citare Don Ciotti, e quindi in qualche modo ci chiama a un ruolo di cittadini attivi. Come la criminalità e la corruzione si organizzano, è importante dare una veste organizzata anche alle forme di resistenza a questi tipi di illegalità, quindi organizzare le forme di controllo civico e di garanzia di legalità nella gestione della vita politica e amministrativa».

Immagine: di K putt, via Flickr