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In Marocco un istituto per il dialogo interreligioso

È mezzogiorno. Gli studenti escono dalla classe. Jacob, un guineiano di quasi trent’anni parla con un compagno di classe francese più o meno della stessa età. Il primo è di fede protestante e già officia come pastore a Mohammedia, città portuale del Marocco. Il secondo è cattolico ed è in procinto di entrare nell’ordine francescano. Siamo a Rabat, all’istituto Al Mowafaqa, centro di formazione universitaria ecumenica che accoglie protestanti e cattolici. Una rarità da queste parti, e non solo.

Inaugurato nel 2014 è stato creato per rispondere ai bisogni delle comunità cristiane che sono in numero crescente sul territorio marocchino. Forza dell’immigrazione: i nuovi arrivati dal Congo, dal Mali, dal Burkina Faso e da altri stati sub sahariani portano insieme ad un carico di speranze, anche le proprie religioni.

Finanziato dalle chiese protestanti e cattoliche locali, il centro offre una debita formazione teologica, con un programma in parte modellato su quello dell’università protestante di Strasburgo, partner dell’iniziativa, oltre a corsi più brevi e specializzati per ricercatori.

Il contesto locale ha infine fornito un tocco di originalità alla scuola: «da luogo di dialogo fra cristiani, l’istituto è diventato ben presto un luogo di dialogo tout court, in particolare con l’islam, che qui rappresenta ovviamente la maggioranza» spiega Bernard Coyault, pastore in pensione, antropologo e direttore del centro. Qui oltre all’ebraico e al greco, obbligatori per gli studenti di teologia cristiana, una trentina di allievi è impegnata nello studio dell’arabo classico e dei testi cardine dell’islam.

Un’apertura che raccoglie consensi unanimi fra gli studenti. «Il Marocco è divenuto luogo di rifugio per la popolazione sub-sahariana, spesso cresciuta in un contesto di protestantesimo evangelico carismatico, addirittura fondamentalista per certi aspetti. La maggior parte di queste persone rimarranno a lungo nel paese. E’ quindi nell’interesse di tutti che le nuove leve acquisiscano familiarità con la cultura e la religione locale» sottolinea Mohamed Sghir Janjar, insegnante presso l’istituto Al Mowafaqa.

«Qui mi sento come all’interno di quattro cerchi composti dalla cultura africana, araba, islamica e cristiana» racconta Bibiane, una francescana congolese in Marocco dal 1992, che ha fatto voto di povertà e castità. Missionaria per la sua congregazione e in accordo con le autorità marocchine, è fisioterapista presso l’ospedale pubblico di Midelt, dopo aver prestato servizio in un orfanotrofio a Rabat.

Sono un’ottantina i professori che si alternano alle cattedre, provenienti dall’Europa o dal resto dell’Africa in quello che è diventato un laboratorio di ascolto e dialogo fra culture. Culture che qui si mescolano fra studenti francesi, tedeschi, africani, laici, pastori, suore, seminaristi. Un passo alla volta la scuola guadagna la fiducia delle autorità politiche locali, legami si creano con le università del paese, la popolazione impara a superare l’immagine missionaria e evangelizzatrice del cristianesimo, slegandolo finalmente da retaggi coloniali e storici, e inserendolo nel contesto della società di oggi. Mancano al momento studenti marocchini, ed è questo al momento l’unico neo; nel paese il proselitismo cristiano può essere gravemente punito, la prossima sfida da vincere sarà questa.

Immagine: By ElooasOwn work, CC BY-SA 3.0, Link