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“Poveri noi”: Openpolis racconta dieci anni di crisi

La scorsa settimana Openpolis, organizzazione che si occupa di raccontare la società e promuovere pratiche di partecipazione, ha presentato un rapporto, definito “mini-dossier”, con il quale si propone un bilancio di questi dieci anni di crisi economica, osservata attraverso una specifica prospettiva, quella degli ultimi. In questi dieci anni, infatti, il numero di persone in condizione di povertà assoluta è raddoppiato, senza però trovare percorsi di riduzione del problema, né sul piano economico né su quello sociale. Il rapporto, dal titolo Poveri noi, è stato realizzato in collaborazione con ActionAid, e Luca Giunti, analista di Openpolis che ne ha curato l’elaborazione, lo racconta partendo da una definizione: «Si trovano in povertà assoluta – racconta – quelle persone che non riescono a permettersi delle spese essenziali come quelle per gli alimenti, la casa, i vestiti, oppure lo spostarsi, o le medicine, quindi i mezzi di sostentamento di base».

Qual è il dato più forte contenuto in questo rapporto?

«Quello che ci dice che la povertà assoluta nel corso degli ultimi dieci anni è più che raddoppiata. Nel 2005 erano poco meno di due milioni le persone che si trovavano in condizioni di povertà assoluta, pari a poco più del 3% della popolazione italiana, mentre nel 2015 sono diventati quasi 4,6 milioni, cioè il 7,6% della popolazione, oltretutto segnando il punto di alto di una crescita costante».

Cosa è successo in questi dieci anni?

«In sintesi dobbiamo guardare alla crisi economica e alla perdita di lavoro. C’è stata una crescente difficoltà per diverse fasce sociali di mantenere il livello di vita precedente alla crisi».

Da dove provengono questi dati? Come sono stati elaborati?

«I dati che abbiamo utilizzato sono stati forniti da Istat ed Eurostat, sono pubblicati sui loro siti istituzionali. Sono dati che trasmettono una serie di informazioni che diamo abbastanza per scontato nel parlare comune, perché che la crisi economica sia associata con un aumento delle povertà e delle disuguaglianze è quasi un dato scontato. Andando a mettere in fila quelli che sono i dati ufficiali, quindi dati effettivamente elaborati da istituzioni statistiche pubbliche, si vede che l’impatto della povertà nel corso di questi anni è stato molto importante sulla popolazione italiana, così come quella europea per molti Paesi, quindi è un dato molto generalizzato. Tuttavia, è la portata a non essere scontata».

Immagino che questa dinamica fosse abbastanza prevedibile. Quando avete cominciato a elaborare questo mini-dossier siete partiti da una tesi già esistente?

«In realtà no. Il nostro lavoro, che abbiamo svolto in collaborazione con ActionAid, intendeva fare il punto su quella che era la situazione della povertà in Italia, senza sostenere particolari posizioni. Quello che è venuto fuori può non stupire, ma è davvero interessante l’evidenza della correlazione tra la povertà e la crisi economica, prima di tutto per la perdita di posti di lavoro, ma anche perché dopo lo scoppio della crisi si è sempre più affermato un mercato del lavoro strutturalmente precario, che ha messo in difficoltà soprattutto i lavoratori meno qualificati, i giovani e le persone in cerca di occupazione, cioè tutti gli elementi più deboli sul mercato del lavoro».

Ha parlato di giovani. La questione generazionale emerge anche dai dati?

«Sì, ed è molto interessante da un punto di vista generazionale andare a vedere le fasce di popolazione divise per classe d’età. Nel 2005, quindi prima della crisi, la fascia d’età più in sofferenza era quella degli over 65. Dopo dieci anni, ovvero dopo lo scoppio della crisi economica, abbiamo un quadro completamente ribaltato: la popolazione più giovane è quella che ha una maggiore difficoltà economica, ed estremizzando si può dire che oggi, nell’Italia del 2016, più una persona è giovane e più è probabile che si trovi in una condizione di povertà assoluta.

Un altro dato che ci deve far riflettere è che fino a prima della crisi non c’erano grandi differenze tra le varie fasce d’età: i più poveri erano gli anziani sopra i 65 anni, ma tra la fascia che stava peggio e la fascia che stava meglio non c’era una differenza così marcata, ma era limitata a pochi punti percentuali. Oggi invece abbiamo un dato molto più evidente, perché la fascia di popolazione che soffre meno la povertà assoluta sono gli anziani, tra i quali solo il 4,1% della popolazione è in condizioni di grave difficoltà, mentre tra i giovani, in particolare nella fascia d’età fino ai 18 anni, si raggiunge la doppia cifra. Insomma, c’è stata un’esplosione della povertà giovanile».

Questo ci fa capire che le crisi economiche radicalizzano le disparità. Vale anche sul piano del genere?

«Sì, in particolare se guardiamo alle donne con figli e alle famiglie numerose. Se si va a vedere quante famiglie con tre o più figli minori si trovavano in condizioni di povertà assoluta nel 2005, il dato era del 7%, mentre nel 2015 è salito al 18,3%, un incremento davvero imponente. Un’altra sacca di grave difficoltà è quella delle donne single con figli minorenni: il rischio di trovarsi in povertà e in condizioni di grave deprivazione materiale è quasi del 20%. Le donne che si trovano in una situazione di crisi, magari non potendo fare affidamento su un altro stipendio, sono tra le categorie più vulnerabili in assoluto. Questo ci fa ragionare anche su un altro aspetto: l’offerta di lavoro per le donne con figli è molto più bassa nel nostro Paese rispetto ad altri, questo per una serie di ragioni che chiamano in causa anche il welfare e, tra le altre cose, anche per la scarsità di un sistema di asili nido pubblico nel nostro Paese».

All’interno di questo quadro, che non è affatto incoraggiante, è possibile trovare elementi positivi?

«Sicuramente ci sono alcuni dati che possono essere letti in modo positivo. In termini di spesa sociale, per esempio, siamo quinti tra le 28 nazioni europee. Il problema è però che la nostra spesa sociale, essendo molto concentrata sulle pensioni, è poco orientata verso tutte le nuove forme di povertà che sono cresciute nel corso degli ultimi anni, a partire da quelle che interessano i giovani e le donne in età lavorativa».

Questi dati e la loro progressione lineare ci dicono che la politica è ferma in questo settore?

«Non proprio. Qualche passo in avanti nel cercare di riunire le tutele previste per la povertà in una misura unica sono state fatte. C’è un disegno di legge, che è già stato approvato alla Camera, con il quale si intendono riunire alcune prestazioni sociali in un unico strumento universale. A regime questo nuovo sistema dovrebbe valere 1,5 miliardi di euro e dovrebbe coprire i bisogni di un milione di persone. Chiaramente è un passo in avanti rispetto a quello che è stato e se non altro è una presa d’atto dell’esistenza del problema-povertà nel nostro Paese. Chiaramente queste misure sono insufficienti, perché come abbiamo detto le persone in condizioni di povertà assoluta sono 4,6 milioni, quindi ci sono grandi passi da fare e molto può davvero essere fatto».

Immagine: via pixabay.com