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Questa volta hanno vinto i Sioux

Molte voci, nei giorni scorsi, si sono unite a sostegno dei diritti e per il rispetto dei popoli indigeni in relazione alla situazione creatasi a Standing Rock, la località degli Stati Uniti dove i nativi americani si sono mobilitati contro la costruzione di un oleodotto che avrebbe, secondo i piani, attraversato il fiume Missouri, mettendo così a rischio le riserve di acqua potabile della zona.

L’alta adesione di solidarietà giunta a livello mondiale agli appelli lanciati da Sioux, Arikara, Mandan e Cheyenne «ha messo in evidenza quante siano, nel mondo, le persone che hanno a cuore la lotta per l’eco giustizia e la difesa delle minoranze», sostiene il Consiglio ecumenico delle chiese americano.

Un’unione sorta per contrastare l’oleodotto chiamato Dakota Pipeline (Dapl). L’appello e poi la mobilitazione così vasta che hanno «obbligato», di fatto, il Genio militare degli Stati Uniti a negare l’autorizzazione al progetto e la costruzione dell’oleodotto.

L’appello a contrastarne l’iniziativa (ricorda il pastore Luca Baratto nell’articolo pubblicato su Riforma.it lo scorso 15 novembre dal titolo «Le acque di Standing Rock») e a difesa della popolazione di Standing Rock era stato lanciato da John Floberg, pastore della Chiesa episcopale, e invitava gli esponenti delle diverse comunità di fede a una tre giorni di solidarietà e protesta nella riserva.

A quell’appello risposero oltre 500 leader religiosi che il tre novembre si sono ritrovati sulle rive del Missouri per incontrare gli anziani delle nazioni indiane, pregare insieme e protestare pacificamente.

In questi giorni due dichiarazioni del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) hanno espresso soddisfazione per il risultato ottenuto: «A nome del Consiglio ecumenico delle Chiese – ha detto il presidente della sezione del Nord, Mark MacDonald – siamo molto soddisfatti della recente decisione, quella di dirottare il percorso dell’oleodotto. È stata una buona notizia, una notizia evangelica. Quella terra è di vitale importanza per le popolazioni Sioux che vivono nella Riserva».

MacDonald, infatti, è un indigeno ed è vescovo della chiesa anglicana del Canada e, come tanti altri leader religiosi, aveva immediatamente aderito alle proteste promosse dagli indigeni locali nel luoghi della Standing Rock.

«È stata una decisione particolarmente importante – ha proseguito McDonald –, perché in questo modo sono stati riconosciuti i diritti degli indigeni. Sono grato a Dio e grato a tutte le persone che con le loro preghiere hanno accompagnato questa delicata e vitale decisione».

Anche per Athena Peralta, membro dell’esecutivo del Cec del programma per la giustizia economica e la giustizia ecologica: «Questa è stata una notizia meravigliosa. Standing Rock ha avuto un posto di rilievo anche in occasione del lavoro che la nostra Commissione ha svolto alla Conferenza Cop22 delle Nazioni Unite a Marrakekh, dedicata proprio ai cambiamenti climatici».

La decisione di dirottare il percorso dell’oleodotto è giunta infatti dopo mesi di proteste e di manifestazioni indette dalle popolazioni locali, da capi religiosi, ambientalisti e difensori dei diritti indigeni.

La costruzione dell’oleodotto Dakota Access Pipeline (Dapl) era stata affidata alla texana Energy Transfer e avrebbe dovuto collegare alcuni siti estrattivi di petrolio nel Nord Dakota alle raffinerie dell’Illinois con un percorso di 1172 miglia. Per i nativi di Standing Rock l’impatto ecologico del progetto avrebbe avuto ripercussioni talmente pesanti da oscurarne gli eventuali benefici. Oltre ai problemi relativi all’approvvigionamento dell’acqua, le imponenti tubature sarebbero passate attraverso il Sundance Ground, un territorio sacro alle nazioni Sioux, Arikara, Mandan e Cheyenne settentrionale.