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Uno sguardo comune ed ecumenico sull’oggi e sul domani

È da tempo, troppo tempo, che nel nostro Paese non si svolgeva un convegno ecumenico così denso di contenuti, gesti simbolici, nuove prospettive. È successo per tre giorni a Trento: dal 16 al 19 novembre. Parole e simboli. Il pane è stato spezzato e condiviso proprio sull’altare di quella cattedrale in cui, a partire dal 1545, si strutturò rigidamente la Controriforma. Ci sono fra gli altri il pastore luterano di Trento e Bolzano, Markus Friedrich; il vescovo Ambrogio Spreafico, leader ecumenico della Conferenza episcopale italiana (Cei); un rappresentate ortodosso; il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).

La cattedrale è affollata. La lunga liturgia si svolge sotto il crocifisso ligneo che fu testimone dei decreti conciliari. Il giorno prima, convegnisti e pubblico si erano raccolti per una ricca serata di cori e musica d’organo nella basilica di S. Maria Maggiore, sede nel XVI secolo delle discussioni teologiche dei padri conciliari. Il cardinale Walter Kasper, già presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, introduce il concerto: «La cacofonia del passato non può essere trasformata in sinfonia armonica, ma abbiamo fatto passi importanti per imparare a suonare insieme». Una metafora efficace dell’attuale confronto tra cattolici e protestanti.

Introdotto da un coinvolgente studio biblico a due voci, con la pastora Anna Maffei e la teologa Marinella Perroni sul tema «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura…» (II Corinzi 5, 17), tale confronto è stato scandito in tre fasi. La prima a carattere informativo sulla realtà del protestantesimo italiano. Intorno al tavolo, non solo le chiese membro della Fcei, ma anche quella avventista e quella parte del mondo pentecostale interessata al dialogo ecumenico. L’immagine ispiratrice era quella del tronco con molti rami. Dai vari interventi è emerso il mosaico di un protestantesimo, ricco di colori e ben radicato, storicamente e culturalmente, nel nostro paese. Era giusto, anzi necessario, offrire fin da subito ai circa 400 partecipanti al convegno (di cui il 10% protestanti) il quadro sommario di una realtà religiosa composita e sulla quale persiste ancora una sorta di cono d’ombra.

Il confronto teologico ha animato la seconda fase del convegno: due corposi interventi da parte del prof. Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di Teologia, e del vescovo teologo di Chieti e Vasto, Bruno Forte, hanno commentato alcuni importanti nodi del dialogo ecumenico. Ferrario ha ripercorso problematiche legate a temi etici sensibili (dalla legge 194 alla benedizione di coppie omoaffettive), riguardo alle quali le chiese protestanti sono state messe spesso sotto accusa per le loro prese di posizione «troppo progressiste». La riflessione è proseguita sulla questione del proselitismo e della missione. Infine il tema delle donne e del ministero ordinato: «Credo non sia esagerato affermare che l’esperienza delle chiese protestanti – le quali, a partire dalla seconda metà del XX secolo, hanno esteso alle donne la possibilità dell’ordinazione – sia stato un grande dono di Dio e uno dei maggiori contributi protestanti all’ecumene cristiana» (Ferrario). Bruno Forte ha sottolineato la centralità della Parola di Dio nella lezione dei Riformatori. Centralità che, specie dopo il Concilio vaticano II, è divenuta terreno d’incontro tra protestanti e cattolici. Sui temi divisivi dell’etica, sempre Forte ha ricordato il punto fermo della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999) tra luterani e cattolici, in forza della quale nessun cattolico può oggi pensare che l’uomo si salvi da solo senza l’aiuto della Grazia. Il nodo da sciogliere rimane quello del significato e del valore che fede cattolica e fede riformata attribuiscono all’agire umano.

Qui ovviamente i pareri, lo sappiamo bene, sono discordanti. Importante però – continua Forte – è vivere non immersi in una presunzione di giustizia propria, ma piuttosto invocare e chiedere la giustizia di Dio. Anche in campo ecclesiologico emergono problemi e discordanze, ma pure qui ogni chiesa si deve concepire come un popolo totalmente posto al servizio della Parola che la convoca, la suscita e la nutre. Particolarmente preziosa oggi è continuare l’esperienza (frutto dell’ecumenismo di questi anni) di una fraternità allargata, incentrata sull’unico battesimo. Camminare verso una diversità riconciliata che purtroppo non è sempre percepita come una ricchezza. La sfida è anche quella di saper trovare, nella differenziazione delle posizioni teologiche ed etiche, nuovi spazi di dialogo e di cammino comuni. Insomma spazio alla differenza ma non alla divisione conflittuale.

Nell’economia del convegno un tempo prezioso è stato dedicato alla tema della riconciliazione delle memorie nel dialogo ebraico-cristiano. Un ripensamento profondo che la cristianità occidentale ha percorso utilmente dopo i disastri dalla seconda guerra mondiale, anche se molto lavoro rimane ancora da fare. Secoli di pregiudizi (compreso il secolo della Riforma) hanno costruito una mentalità antigiudaica dura da estirpare. Un intenso dialogo tra il vescovo Spreafico e il prof. Daniele Garrone, ha permesso di ripercorrere la sofferta relazione ebraico-cristiana. Garrone si è richiamato alle prese di posizione autocritiche formulate nell’immediato dopoguerra dalle Chiese evangeliche tedesche. Per i cristiani e gli ebrei le Scritture ebraiche sono parte essenziale della loro vita di fede. Non può esserci un cristianesimo senza ebraismo. Per cattolici e riformati non c’è Nuovo Testamento senza l’Antico. C’è però da chiedersi se il cristianesimo sia per l’ebraismo un interlocutore altrettanto indispensabile.

Una forte emozione ha poi investito l’assemblea quando siamo entrati nella terza dimensione del convegno: quella della diaconia della carità o meglio, per dirla con Luca M. Negro, quella della «diaconia della giustizia e della pace». La pastora Maria Bonafede e Marco Gnavi, della comunità di Sant’Egidio, hanno illustrato il lavoro dei «Corridoi umanitari» che hanno sinora permesso l’arrivo in tutta sicurezza in Italia di oltre 400 profughi. Il sociologo Paolo Naso, valdese, ha quindi illustrato e commentato il contesto del nuovo pluralismo religioso in Italia.

La quarta dimensione riguardava le prospettive. Nel suo intervento il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, ha tenuto presente l’agenda ecumenica (e delle buone pratiche che ne derivano) adottata dal Consiglio ecumenico delle chiese di Ginevra: 1) il cambiamento della scena religiosa; 2) la relazione tra missione ed ecumenismo; 3) l’impegno per la giustizia e la pace; 4) le relazioni con le altre fedi viventi; 5) la nostra maggiore coscienza della relazione con il creato. La proposta di Bernardini è quella di allestire in Italia un «Forum nazionale permanente delle comunità cristiane», che tenga vivo il confronto e l’interlocuzione con la società italiana. Importante è offrire profondità e continuità al lavoro ecumenico. Ma Trento è già una dimostrazione di come cinquant’anni di passione ecumenica non siano passati invano. A Trento abbiamo capito una volta di più che le diversità confessionali non sono solo legittime, ma possono costruire qualcosa di nuovo. Che ancora non conosciamo.

 

Foto: Laura Caffagnini