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La rivoluzione della stampa

Prendendo spunto dalla ricorrenza che cadrà l’anno prossimo, quella dei 500 anni della Riforma protestante, facciamo un viaggio che passa attraverso varie tappe. Quella di quest’oggi è dedicata a una rivoluzione, ovvero l’invenzione, almeno per quanto riguarda il mondo occidentale, della stampa a caratteri mobili di Johannes Gutenberg e l’incisione.

Nei primi decenni del Cinquecento l’arte tedesca raggiunge un apice: la Germania vanta una grande tradizione artigiana, con generazioni di artisti che dialogano tra loro, spesso in viaggio per conoscere altre realtà. Un periodo particolare anche per via delle nuove scoperte scientifiche e geografiche che introducono a nuove prospettive e nuovi mondi anche per quanto riguarda l’illustrazione. A metà del Quattrocento arriva l’invenzione della stampa che rivoluziona la cultura europea e precede la Riforma e la Controriforma che ne sfruttano tutte le potenzialità. A partire dal XV secolo vengono diffuse le prime raffigurazioni, dei semplici fogli volanti, che consentono di informare e coinvolgere nei dibattiti religiosi non solo gli intellettuali, ma tutti gli strati della popolazione attraverso l’uso dell’immagine e delle caricature.

Per questo abbiamo intervistato Daniele Gay, docente di tecniche dell’Incisione presso l’Accademia Albertina di Torino, illustratore e grafico.

Quando parliamo di incisione di cosa stiamo parlando?

«Stiamo parlando di un sistema complesso che presuppone un grosso metodo alla base. Una preparazione non soltanto tecnica ma anche di apprendistato artigianale finalizzato alla soluzione di problemi formali che non possono essere risolti soltanto con il disegno. In Germania questo è fortemente sedimentato perché c’è una tradizione orafa che presuppone l’incisione del metallo ed è particolarmente diffusa soprattutto in Renania. In Italia è più o meno lo stesso, con delle vette massime che creano delle incisioni, cosiddette, originali perché sono create dall’autore per essere incisioni. In Germania succede più o meno la stessa cosa nel momento in cui ci si svincola dalla semplice dimensione artigianale, mentre in Italia l’incisione diventa ancella delle cosiddette grandi arti e messa un po’ da parte perché utilizzata per riprodurre e per diffondere delle grandi opere. Un esempio è Marcantonio Raimondi che riproduce in abbondanza copie delle opere di Raffaello, e nasce per essere una specie di poster che la chiesa diffonde per farsi pubblicità. Nel nord Europa ha anche questo scopo, ma non solo: viene prodotta per diffondere soggetti più popolari e più domestici, fruito da una fascia più larga di popolazione e, soprattutto dopo la Riforma, non più vincolato al tema del sacro. Permette agli autori di frequentare altri temi, di focalizzare l’attenzione sul paesaggio che prima era completamente relegato a ruoli di sfondo».

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«Il santino classico che la chiesa diffonde, una copia da Raffaello di Marcantonio Raimondi che viene riprodotta e diffusa. La chiesa cattolica si era data molto da fare per liberalizzare e incentivare le arti nel secolo precedente, dando molta libertà di movimento agli artisti in modo anche piuttosto disinvolto. Questa disinvoltura viene ovviamente a cadere con la Controriforma, mentre con la Riforma questa libertà viene trasferita al nord.

Un esempio è Dürer, grande intellettuale di estrazione artigiana».

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«Ne La Melancolia di Dürer si nota l’assenza del tema sacro, mentre è sovraccarica di simbologia di tipo alchemico e filosofico; tutto rappresentato nella massima libertà intellettuale. Una riflessione sull’uomo e non una riflessione sul sacro».

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«Il cannone, sempre di Dürer, è un’acquaforte molto più disinvolta dal punto di vista dell’esecuzione perché più figlia del disegno: in qualche modo si traccia come se fosse un disegno e si incide tramite acidi, mentre il bulino e un’incisione su metallo che prevede difficoltà tecniche molto maggiori e un apprendistato molto più lungo.

In questa incisione la figura umana c’è, ma è più importante il paesaggio che ormai è sdoganato come genere a sé stante e si sdoganerà sempre di più fino al Seicento, soprattutto nel nord.

Come nei Tre alberi di Rembrandt, un paesaggio per essere paesaggio».

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«Qui c’è un senso del sacro diffuso, un concetto che in Italia è più relegato alla pittura. È molto raro che l’elemento naturale sia protagonista, infatti è relegato al ruolo di sfondo. Ci sono splendidi esempi di tipo scientifico, come i disegni di Leonardo, quelli più atmosferici come ha fatto Giorgione, ma è raro che abbiano un ruolo indipendente. L’uomo c’è ma non si vede, è l’eventuale contaminatore ma non è più protagonista. Il vero protagonista è quello che non si vede».

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«I quattro cavalieri dell’apocalisse è un’altra opera di Dürer; è una xilografia che prevede un’incisione su legno di filo, cioè nel senso della fibra del legno.

Anche qui estremamente carico di simbologia. C’è un accenno al sacro ma usato in modo tematico, nel senso che ha rappresentato i cavalieri dell’apocalisse con l’angioletto, ma come se fosse un esercizio di stile privo dello scopo di essere rappresentazione sacra. Un paragone lo si può fare con Bach che ha scritto delle messe senza il fine di essere delle messe vere e proprie, anche se il tema è quello; al di là di ogni vincolo di sacralità. Se poi qualcosa diventa sacro è perché è molto bello».

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Succede la stessa cosa con questa incisione, L’alchimista di Rembrandt, che andrebbe meglio associata alla Melancolia di Durer. Qua la simbologia c’è, ma contenuta, perché si focalizza sul personaggio, l’alchimista, che è il pensatore, illuminato da qualcosa di arcano, di ultraterreno, con una simbologia difficilmente interpretabile. È un’acquaforte con delle riprese di puntasecca, una tecnica usata da Rembrandt che, come il bulino, è una modalità di incisione diretta del metallo».