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Un messaggio di speranza per chi è oppresso dai pesi del mondo

L’annuncio della speranza, che i cristiani di ogni confessione hanno come missione, può risuonare in diversi modi; è risuonato nel corso del culto di apertura del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, nel pomeriggio di ieri a Torre Pellice, facendo leva anche su un cospicuo materiale musicale inserito nella liturgia dal predicatore, pastore Gianni Genre. Non tutti i brani erano classici o della tradizione liturgica dei protestanti italiani: lo era certamente un’«arioso» di J. S. Bach eseguito da violino e arpa; ed erano di autori cristiani contemporanei due degli inni eseguiti dal gruppo corale. Ma il ricorso alla musica ha voluto, nelle intenzioni del pastore Genre, spingersi oltre, e mettere in risalto come le corde della fede possano toccare gli animi di persone che non è scontato vedere coinvolte nelle chiese.

Così è da intendersi l’esecuzione per voce solista, arpa e violino, dell’inno «Nearer to Thee, my God» (Più presso a te, Signor), ma soprattutto il fatto, debitamente spiegato ai presenti, che esso fu l’inno che il direttore della piccola orchestra a bordo del «Titanic» fece eseguire mentre la nave iniziava a inabissarsi. Una volontà, la sua, di dire la fede a tutti. A chi ci credeva e a chi non ci credeva. E questa sfida coinvolge da sempre le piccole, tenaci chiese evangeliche italiane, che tante vicissitudini hanno passato sopravvivendo. Esse sopravvivono, ma perdono consistenza, e devono saper aggiornare la loro presenza in una società che ha bisogno di interventi di tipo sociale e assistenziale, che riconosce e apprezza quello che gli evangelici italiani mettono in opera – per esempio i corridoi umanitari attivati da Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese e Comunità di S. Egidio. Quando però le chiese guardano dentro di sé, paiono prigioniere della condizione della donna inferma, la cui guarigione è raccontata nel testo di Luca 13, 10-17 su cui verteva il sermone.

Una donna debole, da anni privata della sua forza, curva, impossibilitata a mantenere quella posizione eretta che permette a ognuno e ognuna di noi di guardare al mondo circostante e discernere quel che vi capita, e agire di conseguenza. Una donna che «subisce» il mondo. Per una chiesa – ha detto il pastore Genre – ma anche per un singolo, non c’è pericolo più grande. Il pericolo di non farcela più (o di temere di non farcela più) «a vivere in senso pieno, a sorridere, ad amare e ad essere amato. A gioire, come fa la gente alla fine del racconto, e a glorificare Dio, come fa la donna guarita». Qualcosa di demoniaco sembra pervadere e minare dall’interno le persone costrette a «subire» la vita a questo modo; qualcosa di diabolico le porta a credere che il loro orizzonte finisca con il loro sguardo, e non abbia prospettive più in là e nel futuro.

A tutte queste persone le chiese devono saper dire che, nonostante tutto, la vita è bella, in quanto dono di Dio. Per questo non è stata casuale la scelta musicale più inattesa: l’esecuzione strumentistica del motivo base del film di Roberto Benigni La vita è bella. Con i toni della commedia e a tratti della fiaba il film spalanca i cancelli dell’abisso, della distruttività e crudeltà umane, senza tuttavia chiudere spiragli alla speranza. La musica di Nicola Piovani collabora a questo messaggio positivo. Certo, è facile dire che siano da vietare, nel corso di un culto, gli applausi alla fine dell’esecuzione. Ma se i culti (non solo quello di apertura del Sinodo) vedono una partecipazione che va via via riducendosi, bisogna osare e cercare di portare il messaggio di liberazione («fu raddrizzata», dice Luca a proposito dell’intervento di Gesù a favore della donna curva) più in là dei nostri templi e sale di riunione. Le chiese dovranno trovare l’entusiasmo di saper accettare da un lato le richieste che ricevono dall’esterno («è ormai diffuso un bisogno immenso di guarigione e di consolazione», ha detto il predicatore) e dall’altro di trasmettere la gioia di chi quel messaggio di salvezza l’ha ricevuto. Diversamente smarriranno il senso del loro esserci.

Il Sinodo è dunque il luogo fisico e spirituale in cui ci si mette alla prova, ogni anno, proprio in questo senso; in cui si vaglia ciò che si è fatto o non si è fatto per rispondere adeguatamente alla vocazione ricevuta. E in questo momento le chiese metodiste e valdesi non sono sole; dialogano con gli altri cristiani e cristiane e con il mondo circostante. Fa fede di quest’ultimo rapporto il messaggio del capo dello Stato Sergio Mattarella («Le riflessioni e il confronto che vi impegneranno in questi giorni saranno importanti non solo per la vita delle vostre chiese, ma per l’intera società della quale siete parte e al cui sviluppo contribuite con l’originalità delle vostre idee, con la passione della vostra diaconia…», si legge nel messaggio del Presidente al Sinodo). Fa fede del dialogo ecumenico il testo della lettera di mons. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, che afferma come il papa auspichi che «le differenze fra cattolici e valdesi non impediscano di trovare forme di collaborazione nell’ambito dell’evangelizzazione, del servizio ai poveri, agli ammalati, e ai migranti e nella salvaguardia del Creato».

I lavori si protrarranno fino alle elezioni di venerdì 26 agosto; all’ordine del giorno, oltre all’ecumenismo, le migrazioni e le modalità dell’accoglienza, la questione generale della diaconia, la pluralità delle forme di famiglia, il 500° anniversario della Riforma protestante nel 2017.

Foto Pietro Romeo