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Migranti e Mediterraneo: più di 3.000 i morti nel 2016

Francesca Pisano è un’operatrice della Diaconia Valdese impegnata a Ventimiglia (IM) nel supporto ai migranti bloccati alla frontiera con la Francia, in collaborazione con la Caritas di Ventimiglia-Sanremo e le altre associazioni che operano nel territorio. Francesca lavora  presso il nuovo centro di accoglienza del Parco Roja. Questa è una nuova pagina del suo diario.

Si chiama Ahmed, ha diciassette anni e viene dal Sud Sudan. Si chiama Omar, viene dall’Etiopia e di anni ne ha ventisei. Cosa li accomuna? La presenza a Ventimiglia nello stesso campo di transito- questo è certo- ma anche qualcosa di più: la strada che hanno fatto per arrivarci. Perché se è vero che tutti gli esseri umani portano con sé storie uniche e speciali, quelle raccontate dai ragazzi del centro accoglienza citano sempre, in un punto o l’altro del racconto, il mare.

Sono circa cinquecento i chilometri d’acqua che separano Tripoli, il più frequente punto di partenza, e Pozzallo, unico approdo rimasto in Europa dopo la chiusura della rotta balcanica attraverso la Grecia, ed è questo il tratto più pericoloso tra i percorsi migratori verso l’Europa.

Secondo il rapporto dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dall’inizio dell’anno i decessi tra coloro che cercavano di raggiungere l’Europa seguendo questa rotta sono stati 2.549. Il numero totale di migranti morti nel Mar Mediterraneo nei primi sette mesi del 2016 è di 3000, ossia più di 400 al mese; persone che non hanno retto i pericolosi viaggi a cui sono state costrette, di fronte alla chiusura delle frontiere e a politiche europee e internazionali sempre più incentrate sulla chiusura dei confini. A raggiungere la funesta cifra tonda ha contribuito la strage di donne sul gommone recuperato dalla nave Aquarius giovedì 21 luglio in mare aperto, ed è notizia di questa settimana la morte di un sudanese su un’imbarcazione giunta a Pozzallo che trasportava duecentoventuno persone.

È il terzo anno di fila che si raggiunge il numero dei tremila decessi sulle rotte marittime, ma quest’anno questa soglia è stata oltrepassata decisamente prima: nel 2014 si raggiunse il 21 settembre, l’anno scorso fu il 15 ottobre. Secondo le fonti UNHCR sono sbarcate sulle coste del Mediterraneo meno della metà delle persone arrivate nel giugno del 2015 e in Italia il numero di arrivi nei primi mesi del 2016 è stato lievemente inferiore rispetto all’anno scorso. Facendo quindi un rapido calcolo si può concludere che le morti in mare sono finora quasi raddoppiate, ma gli arrivi non sono sostanzialmente cresciuti: si muore solo molto di più.

E se da un lato il viaggio verso il cosiddetto “primo mondo” non si rivela facile, all’arrivo in Europa le cose non si fanno di certo più semplici: le istituzioni europee non sembrano riuscire a concepire una legislazione che modifichi in via definitiva il regolamento di Dublino III e al contempo le normative nazionali non sono in grado di gestire il fenomeno migratorio in modo efficace.

Aldilà di tutte difficoltà di origine politica e istituzionale però, guardando l’esperienza dei numerosi centri gestiti dai volontari e dalle associazioni, non ultimo quello alla Chiesa di Sant’Antonio di Ventimiglia, si riscopre una società civile assai più degna, solidale, consapevole e soprattutto pratica rispetto alla rappresentazione che ne danno certe volte media e politici. Per i volontari la tutela dei diritti umani non può essere sottoposta a condizioni: che sia sudanese o etiope, cristiano o musulmano, il migrante deve essere sostenuto con tutte le energie e i mezzi disponibili.

È questo un principio del vivere civile imprescindibile e doveroso, specie nei confronti di chi ha attraversato migliaia di chilometri ed un mare spietato per (ri)trovare dignità.

Foto: Francesca Pisano