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I paesaggi greci e la scoperta dei paesaggi interiori

Siamo più di 80, quasi abbagliati dal tramonto romano di luglio, sulla terrazza fiorita della Casa valdese: siamo lettori, amici, ammiratori, curiosi, inseguitori di tracce del senso del vivere e del suo legame profondo con la letteratura, venuti ad ascoltare la scrittrice Cristina Comencini che conversa a ruota libera con la psicoanalista Manuela Fraire e con il pubblico (l’incontro è stato organizzato tre giorni fa dall’Associazione Fuori dai Paraggi, dalla libreria Claudiana di Roma e dell’hotel Casa valdese).

I personaggi del suo Essere vivi (Einaudi, 2016) sono evocati con tenerezza, dopo che «si sono imposti» all’attenzione della scrittrice, quasi indicandole il cammino. Caterina e Daniele, alla soglia dei quarant’anni, sono accomunati dalla dolorosa necessità di andare a riconoscere e recuperare i corpi di Graziella, madre dell’una, e di Alfio, padre dell’altro, amanti ormai senza vita in una camera d’albergo ad Atene. Sconosciuti, eppure affratellati dalla scelta dei loro genitori, i due protagonisti cominciano una sorta di ballo di addomesticamento, meravigliandosi di ciò che li accomuna, saltando le tappe e andando all’essenza di ciò che li tiene in vita. La tragedia rende vividezza e coscienza al loro passato, interrompe lo scorrere abitudinario del tempo stabilendo un prima e un dopo, un tempo per perdere e un tempo per cercare. Cercando di ricostruire gli eventi che hanno condotto i loro genitori in Grecia, di ritrovarne le tracce e di spiegarne il gesto in realtà parlano di sé e si ricostruiscono, si ritrovano nello sguardo dell’altro.

Una coppia insolita, quella di Daniele e Caterina, una relazione nuova, orizzontale, che prescinde dai legami di sangue e che tuttavia si rivela nel corso del romanzo forte e feconda. Si mostrano senza orpelli, osando una verità che nelle loro vite rispettive, a casa, fa fatica a emergere. La morte permette loro di raccontarsi con crudezza forse, ma senza infingimenti, di vedere ciò che costituisce la loro unicità.

Se Manuela Fraire ha rifiutato di «far allungare il romanzo sul lettino», nondimeno ne ha messo in luce alcuni temi dalle forti risonanze psicoanalitiche. Ma ancor più, ha invitato l’autrice a esplicitare i temi universali che lo attraversano: come nel processo analitico, la verità di ogni personaggio, quella che gli permette di «essere vivo», di sfuggire alla ripetizione del destino delle generazioni che lo hanno preceduto, di resistere al dolore del corpo e al mal di vivere, risuona nel romanzo grazie alla magia della letteratura e tocca ogni lettore nell’intimo.

Senza mai perdere della sua forza letteraria né scivolare nel romanzo a tesi o nel saggio, l’ultima opera di Cristina Comencini racconta una storia nuova e avvincente, da scoprire con la lentezza dovuta ai testi intensi. La scrittura è come sospesa, cauta, l’autrice è riuscita a far parlare i silenzi e i paesaggi greci, dai quartieri assolati di Atene al Ceramico. Non manca neppure una rivelazione finale, come quella ricercata forse da Alfio nelle sue ripetute visite a Patmos sulle tracce dell’evangelista Giovanni.

Un coro di personaggi secondari, degno della tradizione classica, illumina progressivamente aspetti diversi della storia, nutre l’attesa del «come va a finire» che non è stato rivelato dalle nostre ospiti e che ci guarderemo bene dal rivelare. Storie di famiglia quindi, da sempre care alla scrittrice-realizzatrice-sceneggiatrice, di uomini e donne che riescono a trovare in sé la capacità di resistere, di sentirsi vivi proprio quando la morte impone il distacco e la perdita.

Le luci della sera sui tetti di Roma hanno permesso alla conversazione di proseguire fino a tardi, complice un ricco e gradito aperitivo offerto dagli organizzatori.

Immagini: By dynamosquito – Flickr: Kerameikos, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15532292