gruppo_indigeno_in_ascolto

Un progetto per aiutare le donne del Chaco boliviano

Nel 2015 il Centro sociale evangelico di Firenze ha ottenuto un finanziamento dall’otto per mille della Chiesa valdese per il progetto «Miglioramento della qualità e dell’adesione al programma nazionale per lo screening del tumore del collo dell’utero e della qualità del servizio nell’area rurale del Chaco boliviano».

L’articolo vuole condividere l’esperienza vissuta nell’attività di cooperazione sanitaria nella zona più povera della Bolivia e stimolare in Italia il confronto e la comprensione per le diversità.

L’autrice, di origine svizzera, medico specialista in malattie infettive, è la coordinatrice scientifica del progetto insieme al prof. Alessandro Bartoloni e fa da tramite con il Centro sociale evangelico di Firenze al quale partecipa sin dal primo giorno della sua permanenza in Italia.

Sono di ritorno dalla Bolivia, sono medico presso la Clinica malattie infettive dell’Università di Firenze che si dedica da più di 30 anni al sostegno della salute pubblica nel Chaco boliviano, zona abitata prevalentemente da popolazione di etnia Guaraní. Il progetto è stato presentato dal Centro sociale evangelico di Firenze, del quale sono socia da più di 40 anni; da altrettanto tempo sono membro della chiesa valdese di Firenze. Si tratta di un progetto di cooperazione allo sviluppo che ha come obiettivo il miglioramento della sanità pubblica e il sostegno alle donne indigene delle zone rurali.

In Bolivia, per quanto riguarda la lotta al tumore del collo dell’utero, è in vigore dal 2006 il programma nazionale di screening tramite Pap-test, ma purtroppo continua a essere il tumore più frequente nelle giovani donne, con un picco massimo a 25 anni, particolarmente diffuso nelle zone rurali. Ciò è dovuto a difficoltà di organizzare un sistema funzionante per il prelievo e il trasporto dei campioni biologici, di spiegare il rischio e l’offerta nazionale alle donne, ai mariti, ai referenti della comunità, e di discuterli con modalità adeguate e comprensibili.

È qui che si colloca il nostro progetto, focalizzato su due aree sanitarie locali della Provincia Cordillera (Lagunillas e Gutierrez) con un totale di 13 comunità Guaranì, dove risiedono circa 500 donne nella fascia d’età del Pap-test (18-65 anni). Le aree sanitarie fanno capo al servizio dipartimentale Red Cordillera.

Le attività realizzate in quest’anno comprendono il controllo dei registri, interviste alle persone coinvolte nell’applicazione del programma nazionale, visite alle comunità Guaraní rurali, ideazione e diffusione di messaggi radiofonici, volantini e poster in lingua indigena e corsi di formazione a più livelli, dagli allievi della scuola Tekove-Katu fino ai medici specialisti.

In particolare, confrontando i registri esistenti in loco con il registro nazionale dell’Istituto oncologico (partner del progetto) sono emerse difficoltà in quanto manca un censimento aggiornato delle comunità, con i nomi e le date di nascita di chi ci abita. Le famiglie si spostano con facilità da una comunità all’altra, spesso in occasione dei matrimoni dei figli, quando i parenti seguono la nuova coppia per restare insieme.

Parlando con il personale sanitario si nota una conoscenza limitata del programma nazionale: non è chiaro a quale fascia d’età si rivolge, il dubbio porta a limitare i prelievi per la paura di doverli pagare. I contatti diretti con l’Istituto oncologico vengono evitati per soggezione. A volte manca del materiale di poco costo (spray fissatore, vetrini) e questo fa fermare il programma per mesi.

Le visite alle comunità per effettuare il Pap-test, una o due volte all’anno, sono impegnative, difficilmente praticabili dopo una pioggia. Ogni area sanitaria dispone di una sola ambulanza e spostandosi nelle comunità si porta via sia la macchina sia l’autista, lasciando la zona senza copertura per eventuali emergenze.

L’arrivo nelle comunità è festoso. Il suono di una campana, attaccata al ramo di un albero, fa scendere dalle abitazioni disperse tra il bosco, anziane e giovani, bambini piccoli, pochi uomini e qualche cane curioso. Nella cultura Guaranì la donna è responsabile per la salute della famiglia, mentre l’uomo deve procurare il cibo. Questa divisione dei compiti è la nostra porta d’ingresso alla comunità e permette di discutere con le donne di temi sanitari.

I risultati raccolti dimostrano che l’adesione delle donne indigene al prelievo è scarsa (0-30%). Le risposte negative non vengono consegnate alle donne, fatto che invece potrebbe stimolare la loro adesione al programma. Le risposte positive per la presenza di alterazioni tumorali prevedono che la donna si rechi all’Istituto oncologico per farsi curare (biopsia, conizzazione) ma il personale sanitario spesso non riesce a far fronte alle varie difficoltà che incontra in questi casi. Pur essendo il programma nazionale gratuito, restano da coprire le spese di viaggio e pernottamento in città. In comunità, la donna stessa oppure il marito non capiscono la gravità della risposta. Di fatto, controllando i registri, le donne trovate positive quasi sempre non iniziano o non portano a termine l’iter terapeutico previsto, annullando il senso dello screening stesso.

Per migliorare l’adesione al Pap-test, sono in corso visite alle comunità eseguite da donne insegnanti Guaraní, selezionate dal ministero dell’Educazione (Programma educazione alternativa) per le quali il progetto sostenuto dall’otto per mille prevede la copertura delle spese di spostamento e la traduzione in Guaraní di testi disponibili del ministero della Sanità, da utilizzare durante le riunioni. Inoltre sono previsti la diffusione di messaggi radiofonici e corsi di formazione specifica anche per il personale non medico.

Il progetto contribuisce all’organizzazione di eventi formativi per medici e infermieri che si occupano del Pap-test, gestiti dai referenti dell’Istituto oncologico, per insegnare il prelevamento di campioni adeguati e spiegare le direttive del programma nazionale. Sostiene, inoltre, l’insegnamento di concetti di salute pubblica nella scuola indigena Tekove-Katu da parte di docenti locali e dell’Università degli Studi di Firenze.

Siamo convinti che il lavoro svolto rappresenti un modello esportabile in altre aree rurali, le attività non si sostituiscono al programma nazionale ma cercano di rinforzarlo salvaguardando l’utilizzo dei pochi fondi disponibili per la salute. In Guaraní si dice Mbegue mbegue, che significa «piano piano», è la miglior cadenza del camminare: piano ma con passi costanti.