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Cari britannici, la vostra parrocchia non sia il vostro mondo

Fonte: Confronti.net

Come può uno che è stato un fervente ed appassionato europeista sin da quando il Regno Unito ha aderito alla Comunità economica europea, nel 1975, accettare il voto “Leave” che l’elettorato britannico ha espresso il 23 giugno? Nonostante gli sforzi dei leader di quasi tutti i partiti e di molti capi di chiesa, leader della finanza e dell’industria e del mondo dello sport, delle arti e dello spettacolo, per convincerli a votare “Remain”, gli elettori con una risicata maggioranza del 4% (52 a 48%) hanno votato per lasciare l’Unione europea.

Le conseguenze di questo devono ancora essere pienamente percepite. È una vittoria per la libertà e per le forze anti-establishment, che incoraggia a mostrare i muscoli analoghi movimenti nazionalisti, populisti, anti-governativi e contro l’immigrazione in Francia, nei Paesi Bassi e altrove? Rimuovere i legami burocratici con Bruxelles e le altre istituzioni europee significa necessariamente che la Gran Bretagna volta le spalle a più di un millennio di storia comune, che ha portato dalle guerre alla riconciliazione postbellica dei popoli, dedicata ad un compito comune di pace e sicurezza per la prosperità?

I valori evangelici di condivisione delle risorse con i poveri e accoglienza verso gli stranieri (dando rifugio a coloro che vengono privati di tutto e sono oppressi da governi che negano i diritti umani fondamentali) sono racchiusi nelle idee della nostra Comunità europea, ora rigettata dall’elettorato britannico. Una Gran Bretagna che guarda all’esterno prima verso il resto del mondo e poi a quelli del proprio continente è ora diventata una “Piccola Bretagna”, che rischia ulteriori frammentazioni, disaccordi e divisioni.

Le chiese hanno ora un compito ecumenico urgente: ricostruire i ponti con i nostri colleghi irlandesi e continentali nelle diverse chiese, protestante e cattolica, che si sentono come noi disorientati da questa decisione britannica, per dimostrare il nostro continuo impegno su quei valori che manteniamo per una società più giusta, che porti pace e giustizia in modo collaborativo e non competitivo.

Il Consiglio metodista europeo e altre reti internazionali a cui apparteniamo sono luoghi nei quali abbiamo bisogno di mantenere il dialogo e le azioni concertate in materia di immigrazione, sui diritti umani e sulle questioni di uguaglianza e diversità, in tutto ciò che facciamo insieme, per dire al mondo: «Noi apparteniamo l’uno all’altro». Come disse il predicatore anglicano del XVII secolo John Donne, «nessun uomo è un’isola». John Wesley proclamò che «il mondo era la sua parrocchia». I cittadini britannici non devono pensare e agire come se la loro parrocchia fosse il loro mondo.