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Clericalismo protestante?

A suo tempo non ero stato entusiasta degli abbracci con il papa e neppure lo sono di quelli con il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi, nell’Aula sinodale, come è successo in occasione dell’incontro dedicato a Paolo Paschetto, all’emblema della Repubblica e ai valori della Repubblica, lo scorso 1 giugno. In realtà si è trattato un incontro pubblico fra appartenenti alla massoneria e appartenenti alla comunità valdese, appartenenze che in non pochi casi riguardano le stesse persone. Ma non è stato detto il perché di un incontro, non certo ordinario, in quel luogo e perché organizzato dal Centro culturale valdese e dal Grande Oriente d’Italia.

I rapporti fra massoneria e valdesi risalgono al Risorgimento e vi è una correlazione stretta, specie alle Valli, fra iniziazione massonica, impegno evangelico e polemica antipapista. Molti pastori metodisti e valdesi sono stati massoni. Non si è trattato solo di una vicinanza ideale, ma a volte anche di strutture di potere o almeno di influenza della massoneria in alcuni comitati della Chiesa valdese.

Difficilmente si era vista un’Aula sinodale così affollata e con tanti uomini vestiti di abiti scuri, come in una di quelle fotografie che ci mostrano l’assemblea sinodale schierata davanti al portone della Casa valdese negli anni ‘50. E poi l’Inno alla gioia e Fratelli d’Italia cantati con la mano sul petto.

Tra i vari discorsi uditi nel corso dell’incontro, quello del moderatore Bernardini, largamente condivisibile nei contenuti programmatici (la comune battaglia per la laicità la libertà religiosa e di coscienza), mi ha colpito per il tono. È stato il discorso di un capo religioso che si rivolge innanzi tutto ai «suoi», azzera qualsiasi perplessità, tacita eventuali dissensi, indica la direzione, chiede di non attardarsi su polemiche superate o fumose dietrologie.

Parlando della democrazia che si vive nell’Aula durante il Sinodo, Bernardini ha citato il giurista valdese Giorgio Peyrot e il suo costante sforzo di costruire una «mente comune» al di là delle differenze e degli esiti del voto. Probabilmente il pensiero di Peyrot si rivolgeva al confronto di idee, alle proposte, ai progetti presentati dalle varie commissioni sinodali, da deputate e deputati, sottoposti a discussioni spesso lunghe ma indispensabili per costruire un consenso più forte del voto, che determina forzatamente maggioranze e minoranza. In questo senso Peyrot distingueva la democrazia parlamentare da quella sinodale.

Oggi in molti casi si assiste a un rovesciamento: iniziative, progetti, «eventi» vengono prevalentemente dal vertice. È lì che si decide come essere protestanti in Italia oggi. Come presentarsi al Paese o al Presidente della Repubblica. Alcune iniziative sono ottime, e proprio il fatto di essere prese al vertice le rende tempestive ed efficaci (si pensi ai «corridoi umanitari»). Dalla periferia, dai comitati, dalle opere sociali vengono poche idee, poche iniziative; in compenso vengono tante richieste di contributi otto per mille… Le decisioni vengono prese (per forza?) dai vertici. Come la decisione di incontrare in modo pubblico e in modo ufficiale la massoneria.

La crisi della democrazia è generale nel nostro paese e in Europa, e non si risolverà con il referendum confermativo sulla riforma costituzionale. Che la chiesa sia governata non da un magistero, ma da una «gerarchia di assemblee» (assemblee locali, distrettuali, sinodali) è, nella nostra visione riformata, un punto fondamentale. Purtroppo il verticismo e il clericalismo si formano lo stesso, anche nell’assemblea locale, molti non partecipano più e pochi parlano, sempre gli stessi. I Sinodi sono spesso farraginosi e ripetitivi.

L’anniversario del 1517 potrebbe anche essere l’occasione per riflettere sul sola Scriptura e sul «servo/libero arbitrio» in riferimento all’autorità nella chiesa.