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L’eritreo Adal e il Caravaggio insieme a Lampedusa

Cataldi, quando è nata l’idea di aprire un Museo d’arte a Lampedusa?

«L’idea di creare un museo a Lampedusa è nata a Casal Di Principe, in una casa confiscata ad un camorrista (detto Brutus) dove vennero portate in esposizione alcune opere imprestate dalla Galleria Degli Uffizi di Firenze. Come cronista del Tg2 ero stato inviato per preparare un servizio. In quell’occasione ho incontrato e chiacchierato con i promotori dell’iniziativa. L’idea, insieme all’associazione First Social Life di Giacinto Palladino e Alessandro De Lisi, fu quella di riproporre una cosa analoga a Lampedusa; luogo che da tempo frequento per motivi professionali, umanitari e sociali. Portare “simbolicamente” il museo nazionale del Bardo di Tunisi a Lampedusa fu il primo pensiero, l’idea di costruire ponti culturali tra le due sponde del Mediterraneo e poi quella di far diventare Lampedusa un polo di produzione culturale che, attraverso l’arte, potesse consentire di comprendere a fondo cosa è oggi e cosa potrebbe essere il Mediterraneo domani».

L’idea ha avuto successo. Il prossimo 3 giugno all’inaugurazione verrà il presidente Mattarella.

«L’idea si è concretizzata trovando subito adesioni di centri museali importanti in Italia e nel Mediterraneo: il Bardo e gli Uffizi di Firenze, per citarne solo due. Ci saranno opere di grande pregio, credo che molta attenzione sarà riservata dai visitatori al quadro “L’amore dormiente” del Caravaggio, opera dipinta dall’autore a Malta quando era rifugiato ispirandosi al corpo di un bambino annegato, immagine che oggi richiama quella del piccolo Aylan, il bambino siriano morto su una spiaggia turca, immagine che ha fatto il giro del mondo. Da Palermo invece arriverà la Testa di Ade, trafugata e recentemente recuperata negli stati Uniti e che sarà esposta per la prima volta. Altre opere giungeranno dal Correr di Venezia, dal MuCem di Marsiglia e da molti altri musei internazionali».

Tutte opere di altissimo livello. E’ così?

«Al percorso di arte “alta” sarà affiancato in un percorso parallelo: l’attualità e le storie di chi viene dal mare. Dunque, anche la cruda realtà. All’ingresso saranno esposti i disegni di Adal, eritreo fratello di una delle vittime del naufragio del 3 ottobre che ha disegnato le torture subite nel suo paese, disegni che ha fatto durante una intervista con il Tg2 e che poi sono stati acquisiti come elemento di prova dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, che le ha poi allegate nella risoluzione di condanna del regime eritreo per crimini contro l’umanità. Adal verrà il 3 giugno a disegnare sulle pareti del museo. Sarano anche esposti i reperti di un naufragio, gli oggetti personali appartenuti a 52 persone morte asfissiate nella stiva di un barcone la scorsa estate».

Lampedusa un ponte tra culture e religioni del mediterraneo ma anche di umanità?

«Sull’idea del ponte culturale si fonda l’idea dei corridoi umanitari; idea accolta con favore dalla sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, e con lei da tutta l’amministrazione comunale. Non solo ponti culturali ma ponti umanitari dunque, perché sono oggi più che mai necessari, sono l’unica soluzione per poter evitare che si debbano ancora utilizzare barconi, mettersi nelle mani di scafisti delinquenti e assassini e per questo annegare come spesso accade, soffrire, subire umiliazioni e sevizie, durante i cosiddetti viaggi della speranza».

Si tratta di una mostra a tempo?

«L’idea, in realtà, è quella di gettare le basi per poter creare un museo permanente. Abbiamo, in tal senso, ricevuto il sostegno del Mibact, della regione Sicilia e il fatto che il Presidente della Repubblica e il ministro Franceschini presenzieranno all’inaugurazione, ci fa ben sperare per il futuro. La sede potrebbe essere quella che oggi ospita il museo archeologico».

Con tanti morti e tanta sofferenza di questi giorni noi oggi lanciamo una mostra?

«Oggi è importante tutto, perché abbiamo visto che le parole e le immagini non bastano più. Siamo tutti assuefatti all’idea che si possa morire in mare. Proprio in questa terribile settimana anche i giornalisti hanno modificato il loro modo di informare, dando risalto all’alto numero di approdi settimanali piuttosto che all’alto numero di morti in mare. Ora ciò che fa più notizia e che spaventa di più sono gli arrivi. Questo la dice lunga su come, per poter tenere alta l’attenzione, sia necessario muoversi a livello interdisciplinare. 13 mila persone arrivate, che non sappiamo dove mettere e che nessuno vuole oggi urtano molto di più sensibilità che 700 morti di cui 40 bambini. Oggi poi nel linguaggio giornalistico dall’emergenza siamo passati all’invasione. Quello che noi vogliamo affermare, attraverso la cultura, l’arte, la storia è che le nostre povere radici comuni mediterranee sono importanti, le nostre e quelle dei nostri fratelli che oggi sono costretti ad attraversare il nostro comune mare».