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La riforma del Terzo Settore e il Servizio Civile Universale

La Camera ha approvato la nuova normativa sul Terzo settore, un provvedimento che definisce e riforma la cooperazione sociale, il volontariato e l’associazionismo. Nella legge delega, tra le altre cose, si definisce che cos’è il Terzo settore, se ne istituiscono un codice e un registro unico, si introduce il Servizio Civile Universale aperto anche agli stranieri, e si costruisce una nuova fondazione di diritto privato, la Fondazione Italia Solidale.

Il Servizio Civile Nazionale, che negli ultimi anni ha attraversato difficoltà e rallentamenti, nel 2015 ha visto partecipare 45mila volontari: l’istituzione di quello Universale, rappresenta un segnale importante di integrazione e sviluppo. Ne abbiamo parlato con Licio Palazzini, presidente della Conferenza Nazionale Enti per il Servizio Civile, di cui fa parte anche la Diaconia Valdese.

Cosa pensa di questa riforma?
«Ce n’era bisogno e il disegno di legge delega risponde ad alcune necessità, principalmente quella di incardinare la dimensione giuridica del Terzo settore nell’ordinamento del nostro paese; anche la parte in cui si riforma il titolo e il libro giuridico del Terzo settore mi pare un elemento importante, così come il riconoscimento della funzione economica subordinata e funzionale alla realizzazione degli obiettivi sociali. Altri aspetti potevano essere evitati, come la creazione della Fondazione Italia Sociale, e di altri ancora scopriremo la sostanza con i decreti. Il fatto positivo è che il governo si era preso un impegno ad aprile del 2014 e, a differenza di molti altri governi, a maggio del 2016 abbiamo la legge»

Parlando di Servizio Civile Universale, siamo alla fine di un’epoca o alla prosecuzione di un percorso?
«In primo luogo noto che mentre su tutti gli altri articoli del disegno di legge delega c’è stata una netta separazione tra maggioranza e opposizione, sul Servizio Civile abbiamo avuto anche i voti di Sinistra Italiana e l’astensione di Forza Italia. Questo significa che l’idea di fondo trova consenso al di là degli schieramenti. Siamo di fronte ad una positiva evoluzione di un’idea. Siamo orgogliosi che nel 2016 sia stata approvata dal Parlamento una legge sul Servizio Civile Universale finalizzato alla difesa non armata della patria, in continuità con il servizio degli obiettori di coscienza: questo è un elemento cardine che ci fa dare una valutazione positiva. Il secondo elemento fondamentale è la definizione di universale, che non vuol dire obbligatorio – come era stato immaginato qualche anno fa – ma che significa che lo Stato si impegna a creare nel tempo le condizioni perché tutti coloro che vogliono fare il servizio lo possano fare: cittadini comunitari e non comunitari regolarmente soggiornanti nel nostro paese. Anche questo, nel 2016, nell’epoca dei rinascenti egoismi e razzismi, è un bel segno in controtendenza».

Resterà una difesa non violenta della Patria?
«Nei lavori parlamentari la finalità del Servizio Civile Universale è stata oggetto di una accesa discussione. Alcuni lo vedevano come un residuo del passato, un tributo ad un’epoca passata. Basta aprire i giornali e vedere quotidianamente i conflitti delle nostre comunità per capire che l’educazione alla pace e la costruzione della giustizia sociale in modo non violento non sono una questione del passato ma la priorità del presente e del futuro, se vogliamo mantenere un benessere economico e di qualità della vita che con tanta fatica sono stati costruiti nel nostro paese».

Cosa cambia praticamente per i giovani volontari?
«C’è un processo in corso, che doveva essere già realizzato con la legge 64, ma che è stato dimenticato: il tema delle valorizzazioni delle competenze acquisite, che oggettivamente riceverà un impulso. Purtroppo ci scontriamo con il fatto che il sistema sia su scala regionale, e ogni regione abbia i propri percorsi e tempi: fin da subito chiederemo al Dipartimento del Servizio Civile che sia valorizzata la formazione generale, che è omogenea per tutti i giovani, ma anche la formazione specifica che abbinata ad ogni singolo progetto, insieme alle competenze trasversali, è fondamentale».

Cosa è rimasto fuori dalla riforma?
«La dimensione economica. Tutto l’impianto della legge è strutturato con una piccola parte di finanziamenti per tutte le varie riforme. Ci è stato risposto che era compito delle leggi di stabilità. Detto questo una cosa è l’aspetto tecnico di ogni anno, altro è l’impegno politico, che ad oggi non c’è stato, per stanziare da parte del Governo una somma definita nel triennio. Questo ci preoccupa. Si chiede alle organizzazioni di investire ancora di più sui progetti di Servizio Civile, ma gli elementi pratici legati alle risorse ci lasciano diffidenti. Un altro rischio che va evitato è che si sacrifichi la qualità del servizio pur di trovare risorse. Siamo contenti che il mondo delle fondazioni e quello dei privati si avvicinino per finanziare interventi, ma a condizione che le esperienze organizzate per i giovani siano quelle del servizio civile, senza introdurre altri parametri».

Foto: via istockphoto.com