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«Alziamo lo sguardo di fronte alle sfide che ci attendono»

Fonte: chiesavaldese.org

L’appuntamento annuale con la Consultazione metodista, a Ecumene (Velletri, in provincia di Roma) dal 27 al 29 maggio, sarà un passaggio particolarmente significativo per la fine del mandato di Alessandra Trotta. Negli ultimi sette anni Trotta ha guidato l’Opcemi (il Comitato permanente dell’Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia) ed è la persona giusta per fare il punto sulla realtà metodista (e valdese-metodista) in Italia.

Intanto, spieghiamo cos’è la Consultazione metodista.
«Si tratta di un incontro annuale dei rappresentanti di chiese metodiste in Italia che vuol essere un luogo di scambio sulle tematiche della testimonianza complessiva delle nostre chiese».

E’ una sede decisionale?
«No, è un luogo di dibattito e, in fondo, è un lusso perché spesso all’interno delle assemblee ecclesiastiche il fatto di dover decidere blocca anche la discussione. Il momento della decisione è comune per valdesi e metodisti nelle varie assemblee, sino al sinodo».

Come spiegare a chi non conosce questa realtà il rapporto tra valdesi e metodisti? Sono la stessa chiesa, ma poi hanno momenti separati, come questa Consultazione…
«Ripeto, i momenti decisionali sono altri e sempre comuni. Si tratta di un progetto di unità, un modello ecumenico di unione che da una parte è organica, perché le chiese decidono insieme. Dall’altra ha voluto fondare questa unione su una somma di valori, sulla formula dell’unità nella diversità, in modo che esperienze e tradizioni possano continuare a vivere e ad alimentarsi. Si tratta di un arricchimento reciproco e comune. Un modello pensato quarant’anni fa da questa piccola realtà dell’evangelismo italiano e che è un paradigma utile in una società come quella attuale».

Quale bilancio fa di questi sette anni? Quali le cose positive e quali le meno positive?
«Sono stati anni di servizio condiviso con altre sorelle e altri fratelli, in modo collegiale. In questi anni c’è stata una trasformazione delle nostre chiese, la scomparsa della generazione che aveva costruito il progetto originario e c’è stata l’assenza di generazioni successive. Così, è sorta la necessità di chiamare alle responsabilità anche i più giovani. Di bello c’è stato il consolidamento del percorso di “essere chiesa insieme”, con un forte rinnovamento che arriva dalle chiese (per lo più metodiste) di altre realtà, che hanno interrogato e modificato il nostro modo di essere chiesa. Certo, è una sfida interculturale con cui ci stiamo confrontando: spiritualità diverse, modi differenti di vivere il culto e e di leggere la Bibbia, e via dicendo».

Una cosa che l’ha emozionata in particolare?
«Sono tante le cose emozionanti. Di solito quelle apparentemente più piccole: certi incontri comunitari in cui si sente la condivisione di un progetto, l’apertura di nuovi locali di culto, certi incontri personali».

Le cose meno belle?
«Sono nella fatica che le nostre chiese vivono da sempre, devono lottare per tutto. Anche noi abbiamo sentito la crisi di questi anni e i momenti più negativi sono quando non si riesce mai ad alzare lo sguardo da questioni amministrative e burocratiche. Sono importanti, per carità, ma sono funzionali a qualcos’altro, non possono essere l’oggetto della discussione. Anche l’uso delle risorse è bello quando si riesce a farlo all’interno di una visione, di un progetto comune; alcune chiese hanno uno sguardo troppo locale, manca una visione complessiva».

Quali sfide, nell’oggi o nel futuro, sono di fronte alle chiese valdesi e metodiste?
«Sono le sfide che sono davanti a tutte le chiese cristiane che stanno vivendo in questa Europa che ci piace sempre di meno: riuscire a dimostrare che si possono creare modelli alternativi. Non basta dire che la diversità è bella in un contesto in cui le diversità mettono a dura prova questa visione. Su questo le chiese possono dire parole importanti».

Valdesi e metodisti sono eredi di tradizioni che affondano le radici nel passato. Cosa possono dire di sempre nuovo alle donne e agli uomini di oggi?
«L’Evangelo, che proviamo ad annunciare per offrire la possibilità alle persone che ci incontrano di condividere questa ricchezza. Il tutto, offrendo la possibilità di trovare degli spazi per una ricerca di fede che può vivere nella dialettica tra forti convinzioni e nel riconoscimento delle convinzioni altrui. La flessibilità verso nuovi linguaggi, uno spazio di dialogo, di condivisione».

Dalla Consultazione emergeranno delle candidature, poi il Sinodo deciderà chi prenderà il suo posto. Cosa augura a chi le succederà?
«Di riuscire a vivere questo ruolo, anche nelle sue fatiche, con passione e amore anche verso la realtà piccole. Ricordandosi che non abbiamo di fronte la perfezione. Il vero amore sta nell’accettare queste cose. E le/gli auguro di riuscire a coinvolgere e a far partecipare quante più persone sarà possibile e di vivere questa esperienza così benedetta. Le chiese riescono a trovare in ogni momento le persone giuste: accadrà anche questa volta».

Foto: Pietro Romeo