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Nella pancia dell’Austria

«Come rappresentanti delle chiese noi non commentiamo le personalità politiche». È questa la premessa di metodo di Gerhild Herrgesell, consigliera ecclesiastica della Chiesa evangelica austriaca, l’istituzione che raduna le chiese di confessione augustana (luterani) e di confessione elvetica (riformati) – le due insieme accolgono nella fede il 4% della popolazione. Con la sintesi e la cautela imposte dal proprio ruolo istituzionale, Herrgesell traccia un quadro plausibile dell’involuzione politica del suo paese, dove il leader di un partito d’estrema destra minoranza in Parlamento potrebbe diventare Presidente della Repubblica. In attesa del ballottaggio del 22 maggio, cerchiamo di capire cosa sta succedendo nella pancia dei nostri vicini.

Per gli austriaci il successo di Norbert Hofer è davvero giunto inaspettato?
«Prima di tutto: non è ancora detta l’ultima parola. Avevamo sei candidati, due di loro sono al ballottaggio. E si tratta di due personalità opposte. Detto questo, ciò che è accaduto al primo turno non era completamente inatteso; molte persone sono rimaste sorprese dal numero di voti presi da Hofer: non dal suo successo dunque, ma dalle proporzioni del suo successo. Non tutti lo conoscevano prima, mentre Van der Bellen, lo sfidante, è da tempo una personalità nota in tutta l’Austria».

Quali sono le ragioni del successo di Hofer?
«Non sono un’analista e non conosco i motivi per cui Hofer ha preso così tanti voti. A riguardo ci sono diverse teorie».

Da fuori il quadro sembra abbastanza chiaro: gli austriaci hanno risposto di pancia al problema dell’immigrazione. Ai reduci della «rotta balcanica».
«Nella maggior parte dei villaggi austriaci non c’è alcuna presenza di rifugiati, i cittadini austriaci leggono di loro sui giornali e sui social media, imparano che è in corso una “crisi”. I giornali riportano tutti i giorni storie di crimini commessi da bande arabe o africane, storie di stupri o di controversie nate attorno alle case che ospitano i rifugiati. Non riportano mai storie d’integrazione compiuta. Anche se in realtà abbiamo tanti esempi positivi, in diverse aree. I cittadini austriaci sono informati solo dei crimini, e sulla base di queste informazioni forgiano le loro opinioni: i rifugiati sono criminali, vogliono sfruttare il nostro sistema sociale».

Eccola, l’analisi. Ma da questa sorge un problema: l’Austria ha un sistema istituzionale semi-presidenziale; con queste elezioni gli austriaci non sono chiamati a esprimersi sul parlamento, sulla formazione del governo, sulle politiche, bensì sulla carica che rappresenta l’unità della federazione. Come può accadere che una sola tematica monopolizzi una campagna presidenziale?
«Nella sua campagna Hofer ha intercettato tanti sentimenti diffusi favorendo la confusione tra la linea politica del suo partito e la carica di Presidente cui ambisce. Ha detto “Heimat zuerst”, ha promesso “l’Austria prima di tutto”, ma il Presidente federale non ha il compito di governare; quella è competenza del cancelliere».

Da qui al 22 maggio le chiese luterane prenderanno in qualche modo posizione?
«Prendiamo posizione tutti i giorni. Le chiese austriache e le diaconie, insieme alla Caritas, sono coinvolte attivamente nell’accoglienza ai rifugiati. Nell’ultimo anno l’Austria ha dato accoglienza a 90.000 persone. Ora è nostro compito integrarle. Le chiese e i loro volontari sono impegnate a lavorare con i rifugiati, a insegnargli il tedesco, ad aiutarli a trovare dimora, ad iscrivere i loro figli a scuola, a risolvere problemi medici e di salute. Per quanto riguarda il ballottaggio, le chiese protestanti dell’Austria non commentano mai le elezioni. Tuttavia non nascondiamo di essere scioccati dalla linea assunta dal nostro governo. In merito alla legge anti-immigrazione appena varata, abbiamo inviato una nota di protesta formale al Parlamento. Le nostre chiese sono estremamente preoccupate per la situazione ai confini del paese, specialmente al Brennero».