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In Mauritania si muore per un’idea

Mohamed Mkhaïtir ha 32 anni, vive in Mauritania, e dal 5 gennaio 2014 è detenuto nelle carceri del suo paese in attesa di veder applicata la sentenza di morte cui è stato condannato da un giudice del tribunale di Nouadhibou, nel nord-ovest della nazione, per il reato di apostasia.

La colpa è quella di aver pubblicato un post su facebook in cui si criticava chi utilizza la religione per emarginare alcuni gruppi sociali e le minoranze dalla vita pubblica. Mkhaïtir, di professione blogger, ha spiegato durante il processo di non aver voluto in alcun modo criticare Allah o l’Islam, ma solo denunciare chi fa un uso distorto del messaggio del profeta. Dopo l’arresto si è pentito per due volte, ma nonostante il codice penale del paese sahariano preveda la clemenza in questi casi, nessuna indulgenza è stata al momento concessa dai giudici.

A tenere alta l’attenzione sul caso è Amnesty International che in occasione della pubblicazione del rapporto sulla pena di morte nel mondo ha ricordato come in Mauritania siano state emesse nel 2015 5 condanne a morte, non eseguite. Nel braccio della morte vi sono attualmente 19 detenuti, 13 dei quali stranieri.

In Mauritania, ex colonia francese, fra le nazioni più povere al mondo, l’Islam è religione di stato, confessione abbracciata dal 99% dei tre milioni di abitanti. Minime quindi le presenze di altre confessioni, circa 10 mila i cristiani, che tentano di manifestare la propria fede nonostante i paletti posti dalla legislazione, che punisce per l’appunto il reato di apostasia, impedendo ogni sorta di evangelizzazione. La Bibbia non può essere stampata o venduta, ma non è reato possederne una in casa.

Foto: By Александра Пугачевская (Alexandra Pugachevsky) – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=23580791