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Giocare senza barriere

Lo sport è sicuramente un mezzo potente per far incontrare e aggregare le persone. In un contesto multiculturale può anche servire a superare il timore del diverso, per esempio rendendo concreta l’integrazione di cittadini stranieri nel contesto italiano. Il 2 e il 3 aprile in 10 città italiane si svolgerà la I Giornata del Cricket per profughi e rifugiati politici, organizzata dalla Federazione Cricket Italiana e patrocinata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, nata proprio con lo scopo di abbattere le barriere mentali e culturali che rallentano la reciproca integrazione: «abbiamo cercato di coprire quanto più possibile il territorio nazionale – dice Simone Gambino, presidente della Federazione Cricket Italiana – avevamo la possibilità di aggregare rapidamente queste comunità interculturali e lo abbiamo fatto. Il nostro obiettivo è far si che il giorno dopo l’evento ci sia una continuità di attività che attraverso il cricket possa aiutare l’integrazione a tutti i livelli della società».

Perché questa prima giornata di cricket per i rifugiati?

«Niente di più che la logica conseguenza di tante richieste che riceviamo continuamente da alcuni anni a questa parte. Abbiamo pensato di non fare iniziative spot, ma riunire tutto in un evento speciale per far sì che questa giornata sia l’inizio di qualcosa che porti all’integrazione delle persone arrivate in Italia».

Qual è la realtà del cricket in Italia?

«Il fenomeno del cricket, ormai esploso, più di ogni altro sottolinea il passaggio dell’Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione. La Federazione raggiunge i 10 mila giocatori praticanti, ma è la punta di un iceberg rispetto al fenomeno spontaneo del cricket che si verifica nei parchi o nelle strade. Non ci sono delle regole già definite nella struttura che riunisce le queste diverse esperienze: occorre osservare e cucire delle regole sostenibili intorno alla realtà».

Le associazioni sono create per spinta dei migranti o c’erano già diverse realtà italiane?

«Quando si hanno contatti con il Coni bisogna affrontare un iter burocratico e per i nostri amici asiatici è cosa complessa e articolata. Quindi le squadre che giocano in serie A sono in prevalenza a dirigenza italiana. Occorre dire, però, che le due società che si sono contese lo scudetto l’anno scorso, il Kinsgroove e il Trentino hanno come presidenti due ragazzi di etnia pachistana e singalese, anche se sono cittadini italiani. Anche lo sport cambia con gli italiani che cambiano».

Cosa può fare lo sport per l’integrazione?

«Può abbattere le barriere, che sono tutte artificiali e poste da chi vuole creare dei distinguo, discriminare in maniera più o meno velata. Noi vogliamo creare la “discriminazione zero” nella federazione. Qualche anno fa, quando vincemmo i campionati europei dissi scherzando che la nostra squadra è l’unica che non va messa la domenica: avevamo 7 religioni diverse con 11 persone in campo. Se riusciamo a capire che diversità significa arricchimento, riusciamo a creare qualcosa di migliore, poiché riusciamo ad abbracciare tutto quello che le diverse culture hanno acquisito nelle loro tradizioni e possono portarci».

Il cricket più di altri è uno sport che racconta di colonizzazioni di andata e di ritorno

«Sì, è così. Per esempio è uno sport di ritorno anche perché la componente della nazionale italiana che si affianca agli italo-asiatici è quella dell’Aire, l’Anagrafe Italiani residenti all’estero. Giocatori italo australiani e italo sudafricani, figli e nipoti di chi è emigrato all’estero dopo le due guerre. La cosa incredibile è che nulla quanto la nazionale di cricket sintetizza i 150 anni di storia sociale del nostro paese: giocatori discendenti da italiani emigrati all’estero e immigrati che hanno scelto l’Italia come loro patria».

Foto: Campo Nelson Mandela di Porto d’Ascoli via Federazione Cricket