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Sfidare l’ingiustizia del potere nella Domenica delle palme

Nel 2008 a Chicago ci sono state ben 10.000 denunce contro l’uso eccessivo della violenza da parte della polizia, ma solo quattro poliziotti sono stati destituiti per tale motivo e dalle statistiche del 2014 risulta che un afroamericano ha 9,4 volte più probabilità di un bianco di essere colpito da un poliziotto. Queste cifre raccontano una realtà di marginalizzazione, di ingiustizia e di radicalizzazione del conflitto sociale che giocano la loro parte anche nelle elezioni presidenziali.

Dinanzi a questa situazione, tante chiese si sono impegnate affinché non solo venga resa giustizia ai tanti innocenti uccisi e abusati dalla polizia, ma perché vengano cambiate le regole del gioco che permettono che una tale situazione ripeta. Chiese locali della Chiesa unita di Cristo, luterana, metodista e presbiteriana si sono recate più volte dal sindaco che però non ha mai accolto le loro proposte per modificare lo status quo che copre le malefatte di molta parte della polizia.

Dinanzi a questo nulla di fatto, la domenica delle Palme le stesse chiese hanno deciso un’azione comune: nel medesimo orario occupare le stazioni di polizia della città. «Abbiamo deciso di fare fronte comune – mi spiega uno degli organizzatori, Marlon Chamberlain – e tramite l’organizzazione per cui lavoro (Community Renewal Society, nda) dar vita a questa azione simbolica di occupazione». Gli domando perché sia stata scelta questa domenica. «Quel che a volte non comprendiamo appieno è che Gesù fa una grande azione pubblica in opposizione all’autorità romana perché la sua marcia d’ingresso a Gerusalemme – prosegue – aveva il valore di una protesta e non di una semplice sfilata. Era un messaggio chiaro che il regno di Roma era illegittimo e il Regno di Dio era a portata di mano. Troppo spesso nelle nostre celebrazioni minimizziamo il significato delle azioni di Gesù. Con la nostra azione pubblica cerchiamo di recuperare lo spirito della Domenica delle Palme come un giorno in cui le persone di fede danno testimonianza pubblica sfidando l’ingiustizia di chi è al potere».

Ecco ora che mi trovo con un gruppo di 25 persone tra pastori e laici, bianchi e neri che insieme pregano e lasciano le loro palme sulla scrivania del poliziotto all’ingresso della stazione di polizia nella 51a Wentworth Avenue il discorso di Malcom prende corpo e significato. L’azione si svolge in modo semplice e senza tensioni: si prega per coloro che sono state feriti, imprigionati ingiustamente ed uccisi, per le famiglie che cercano giustizia, per i poliziotti e tutti coloro che sono in posizione di potere che operino con sapienza, senza abusare di quanto è dato nelle loro mani e nel rispetto di tutti. Con un canto e una benedizione l’azione si conclude, ma quando usciamo fuori blocco Marlon per avere altri ragguagli. Gli domando come sia possibile che a fronte di tante denunce siano così pochi i procedimenti che poi abbiano avuto seguito e cosa hanno proposto la società civile e le chiese come soluzione. «Le persone devono denunciare un poliziotto per abuso di potere esclusivamente con una dichiarazione giurata perché si possa procedere con un giudizio, ma poi è l’Avvocatura di Stato che ha il compito di supervisionare l’operato della polizia e decidere se proseguire facendo giungere la denuncia alla corte. Purtroppo in questi ultimi anni è accaduto sempre più spesso che tutto venisse fermato e coperto dal silenzio prima di arrivare ad un qualsiasi giudizio. Così le ingiustizie sono proseguite tranquillamente. La proposta pratica è l’applicazione della Fair Cops Ordinance (Freedom through Accountability, Investigation and Reform for Community Oversight of Policing Services) che mira a stabilire un’agenzia con un budget trasparente che possa supervisionare in modo davvero indipendente l’intero processo di azione della polizia, anche stabilendo la responsabilità per i singoli funzionari con conseguenze disciplinari per quanto fatto dai poliziotti a loro sottoposti. L’avvocato di Stato in questi ultimi anni, per la prima volta una donna, Anita Alvarez, di origine messicana pur eletta nella fila del partito democratico – mi spiega Chamberlain con rammarico – non ha fatto l’interesse della società civile, ma solo delle istituzioni. Ora nelle fila dei democratici è stata eletta come candidata per la Cook County (la contea dove si trova Chicago, nda) Kim Foxx, un’avvocata di colore nella quale crediamo molto. Ma sono le regole che devono cambiare perché non è possibile affidarsi alla bontà dei singoli. È una questione politica seria!».

A questo proposito gli faccio una domanda che mi frulla per la testa da settimane: mentre le chiese che fanno capo al Tea Party, conservatrici ed evangelicali hanno dato chiari segni di appoggio per in candidati Cruz o Trump, perché le chiese più progressiste e cosiddette mainstream protestanti non hanno mai dichiarato apertamente il loro candidato? «Ci sono almeno un paio di ragioni – mi dice Chamberlain –. La prima è che tutte le chiese sono esonerate dal pagare le tasse a patto che mantengano separato ciò che riguarda le chiese e ciò che compete lo stato. La seconda e più importante è che le nostre chiese non vogliono spingere o costringere i loro membri a decidere per uno specifico candidato, ma portare le persone a una decisione consapevole. Direi che il nostro impegno per la giustizia sociale, per la questione razziale e uguali diritti per donne e persone lgbt la dicano lunga delle nostre posizioni anche politiche, ma è solo una conseguenza. Chiunque vincerà le elezioni noi continueremo la nostra azione nella società. Noi vogliamo predicare e testimoniare il Dio della giustizia, della pace, dell’amore concreto e inclusivo».

Fa effetto sentire queste parole da un uomo di colore di 40 anni che ne ha spesi 14 recluso in un carcere federale per aver spacciato crack. Mi dice di scriverlo, di metterlo nero su bianco: non se ne vergogna perché fa parte del suo passato di giovane con compagna e figlio, senza lavoro e senza una famiglia alle spalle, che pensava di poter fare soldi facili con la droga. Ha pagato e ha capito che doveva lavorare per aiutare altri a non cadere in questa trappola. «Non è un caso che siano tanti i giovani neri ma anche ispanici che finiscono in carcere. Mancanza di educazione e di lavoro, famiglie povere alle spalle offrono poche speranza per il futuro. Unirsi a una gang per sentirsi forte e fare soldi facili sembrano la soluzione per avere quel potere di essere che la società non vuole darti…».

Ci sarebbe ancora molto da condividere, ma ci fermiamo qui. Ognuno vuole tornare alle proprie famiglie e continuare a celebrare la Domenica delle Palme.