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Per una medicina sobria

Questo è l’agile libro di cento pagine che avrei sempre voluto scrivere*, senza esserne capace. Per fortuna l’ha scritto lei, Iona Heath, medica di famiglia, presidente del comitato etico del prestigioso British Medical Journal, non un medico di base di Luserna, nelle valli valdesi! Ragionamenti ampi, riferimenti a non solo letteratura medica, con citazioni che invogliano a leggere Dr. Knock ou le triomphe de la médecine, premonitrice pièce teatrale di Jules Romains del 1923 o Malattia come metafora di Susan Sontag o tanti altri testi di riferimento.

Autorevole voce fuori dal coro, Heath colpisce per la determinazione scientifica con la quale difende una medicina umana, sobria, per il bene del singolo paziente contro la massificazione di questa medicina tecnologica e progressivamente disumana. Il titolo originale è Opium of the Masses: la medicina ha finito per sostituirsi alla religiosità; il titolo italiano è meno convincente: è sempre meglio scrivere «a favore», ad esempio di una medicina sobria, che «contro», per quanto il mercato della salute davvero stia ingannando la gente.

Al centro del libro c’è il prendersi cura, un insieme di attenzioni, riguardo, dedizione, non mera consolazione ma condivisione. Pamphlet sociale, denuncia e la demonizzazione di poveri e vulnerabili, dipinti come parassiti indolenti, e il pensiero che lo Stato Sociale sia solo sperpero di ricchezza e di impresa.

Il sistema sanitario di oggi vuole una «fede autentica», stabilisce modelli di comportamento, pretende di sapere come gli altri debbanocondurre la loro esistenza e fa soffrire le persone per il loro bene. Rimuovendo l’idea che la morte sia l’inevitabile conclusione della vita, diamo eccessi di speranza, «pie illusioni», errate aspirazioni, cerchiamo soluzioni tecnologiche agli eterni problemi esistenziali dell’umanità.

Eppure è chiaro che ogni intervento produce un danno oltre che un beneficio. In questo mondo che ci dice ogni momento che cosa ci faccia bene e che cosa male, come essere sempre giovani, forti e belli, rischiamo davvero di vivere da malati per morire sani, tutti alla fonte dell’eterna vecchiaia! E non è strano che la medicina di oggi sia allineata all’interesse privato, non solo economico, come tutta la nostra società secolarizzata.

Tutti soddisfatti di questa «esuberanza diagnostica e terapeutica»? Di essere preda di controlli e misurazioni continue? Non si chiede più «come stai?» ma quanto hai di colesterolo e di pressione; non si risponde più «ho la tosse», «sono un po’ giù», ma «ho la bronchite», «sono depresso». Ossessionati, abbiamo spostato la nostra attenzione dalla società all’individuo e dall’anima al corpo.

È chiaro che nessun sistema sanitario è in grado di sostenere il costo del trattamento di tutti i fattori di rischio per la salute, neppure se in Italia, pia illusione questa sì, pagassimo tutti le tasse. Se il mio paziente ha sintomi, il progresso è valutabile e l’esito misurabile; se curo un rischio di malattia l’esito è probabilistico e il trattamento infinito.

Estendendo il più possibile il raggio dell’anormalità gioco a favore della tecnologia e dell’industria farmaceutica, creo paure gettando un’ombra sulla vita e danneggio la salute. Compito del medico è individuare una malattia, riconoscerla, sedare i timori inopportuni, alimentare la speranza identificando le alternative capaci di migliorare il futuro; con la sua competenza immaginare quali possibilità offrire senza mai imporle, sapersi fermare. Ma abbiamo cominciato a dare valore a quanto e non a come si vive, dando più giorni alla vita che vita ai giorni.

È importante il paragrafo sulla difficile situazione degli anziani, costretti a un numero di farmaci sempre maggiore con il rischio di malattie provocate dai farmaci stessi o dalle loro interazioni. Voltaire chiosava che il medico è colui che introduce in un organismo, che conosce poco, sostanze che conosce ancor meno: sono passati tre secoli ma so benissimo che quello che fa bene a un individuo può far male a un altro. Molti non lo sanno più.

Le società inique fanno ammalare di più i poveri: ormai abbiamo farmaci carissimi per società ricche e non produciamo più farmaci abbordabili per malattie diffuse nel Terzo mondo. E la forbice tra i pochi ricchi e i tanti poveri si sta allargando, come ai tempi di Dickens: in più accusiamo i poveri che in fondo è colpa loro (non sono io razzista, sono loro che sono neri…). Spendiamo moltissimo per pochi, basterebbe poco per dare assistenza di base a molti!

L’età media è enormemente aumentata, ma sovente gli ultimi anni sono passati in grave invalidità. E ricordiamo che molto è stato fatto non solo dalla medicina ma anche dai progressi urbanistici: avere termosifoni, acqua corrente e fognature ha avuto un impatto sulla sopravvivenza quanto, se non di più, dei progressi scientifici.

Un libro per tutti, quello di Iona Heath: fa riflettere su quale davvero sia il percorso in questa vita che possa dare a ognuno il massimo non della felicità e della salute ma della serenità. Insegna a rallentare.

* I. Heath, Contro il mercato della salute, Torino, Bollati Boringhieri, 2016, pp. 110, euro 11,00.