lampedusa

L’olocausto in diretta

Abbiamo già raccontato dei diversi premi ricevuti dal film Fuocoammare di Gianfranco Rosi, in ultimo il premio della giuria ecumenica del 66esimo Festival del cinema di Berlino. Un film che parla del dramma delle migrazioni contemporanee, ma anche della vita dei lampedusani sull’isola: realtà che non si toccano, tanto da sembrare descritti in due film dentro ad uno. Ma quanta Lampedusa c’è nel film di Rosi? Lo abbiamo chiesto a Francesco Piobbichi, dell’osservatorio Mediterranean Hope, che da due anni vive a Lampedusa e lavora con gli abitanti per cercare di capire e raccontare l’identità sfaccettata dell’isola e il suo ruolo nel Mediterraneo e in Europa.

Le scene del film, attraverso la poesia e le immagini portano dentro al Mediterraneo: si parte da Lampedusa, ma poi si è portati all’interno di una tragedia epocale.

«L’opera di Rosi permette di vedere di più rispetto a ciò che normalmente vede chi vive l’isola – dice Piobbichi – come il dramma in mare o le difficoltà nel Centro di accoglienza. Le immagini sono talmente potenti che è impossibile non vederne colpiti».

Se il bambino protagonista della storia sembra molto lontano dai nostri, riesce a descrivere bene la distanza propria di Lampedusa, non solo in termini geografici, da tutto il resto: l’isola lasciata sola ad affrontare un grande fenomeno epocale che però vive la propria storia.

«I momenti di contatto tra lampedusani e migranti non sono frequenti – continua Piobbichi – come se ci fossero due percorsi separati che si incontrano solo a volte. Il mare li fa incontrare».

Una somma di distanze, che è reale e riguarda anche i diritti: i lampedusani non possono nascere sull’isola, perché non c’è un ospedale, non c’è un punto nascite; chi si deve curare deve prendere l’aereo, lasciare l’isola e indebitarsi. Questo film non racconta tutto dell’isola, ma sicuramente aiuta ad aprire una discussione sulle responsabilità del ruolo che ricopre.

L’olocausto dei giorni nostri, l’olocausto in diretta: così è stato definita da molti la questione migratoria oggi in relazione a ciò che quotidianamente abbiamo sotto gli occhi, ma che continuiamo a sentire distanti «vediamo immagini che sembrano lontane, i lampedusani le vedono la vicino. Rosi ha vissuto qui per un anno riuscendo a cogliere molti aspetti dell’isola e di chi ci vive, un po’ come ha fatto il nostro osservatorio».

E a proposito della distanza, sull’isola non c’è nemmeno una sala di proiezione per poter vedere insieme Fuocoammare: «probabilmente sarà organizzata dallo stesso Rosi e dai lampedusani sull’isola. Forse anche quella potrà essere un occasione per parlare dell’identità di Lampedusa, per evitare di essere sempre oggetto di comunicazione e per iniziare a farla – conclude Piobbichi –anche perché qui l’ansia che venga danneggiato il turismo è sempre presente e comprensibile».

Chissà se questo film darà la possibilità al progetto dei corridoi umanitari di Mediterranean Hope e Sant’Egidio di amplificare la propria proposta: per una politica europea di accoglienza e di gestione dei flussi davvero diversa.

Foto: La porta d’Europa – Matteo De Fazio/Radio Beckwith