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Le narrazioni della libertà

 Ci sono oggetti che con la loro storia “parlano”. Ci sono narrazioni che dicono di libertà o di temi ad essa legati e che ci aiutano a riflettere. “Faithful for centuries”, il film del 1924 sui valdesi che recentemente è stato restaurato e riportato a disposizione di tutti è uno di questi oggetti-documenti. La storia di questa pellicola, oltre che i suoi contenuti, è interessante da questa prospettiva. In epoca di XVII febbraio vale la pena soffermarci tra gli altri su due aspetti particolari che dalla visione, e dalla storia del film, emergono: il rapporto con il potere, e le narrazioni (al plurale) che utilizzando lo stesso materiale, in questo caso filmico, si possono dare della storia e del rapporto con la libertà.

Sul rapporto con il potere, e con le istituzioni, basterebbe citare la censura che il film subì dal ’25 in Italia. Si racconta una storia e viene negata la libertà di dire, di presentarsi così come si vuole. All’impossibilità della sua diffusione nella Penisola seguono le peregrinazioni e i rimaneggiamenti che il racconto filmico subisce per diventare “più appetibile”, e quindi essere più “spendibile”, in contesti diversi da quello in cui era nato. Gli elementi del racconto sono pressoché gli stessi ma la storia narrata e la sua enfasi cambia variando la loro disposizione (il loro montaggio). Sempre sul versante “rapporto con il potere” si potrebbe poi anche fare riferimento ai contenuti stessi del film così come ci sono giunti: nella parte iniziale, per esempio, emerge chiaramente il rapporto dei valdesi con la chiesa romana (che attraverso il papa abbraccia Valdo ma che parallelamente non gli concede nulla se non la derisione) o tra il potere politico e la popolazione delle Valli, c’è il resistente vittorioso e il “popolo chiesa che con l’aiuto di Dio non viene piegato”. Emergono per immagini i temi del mito della storia valdese così come si è venuta costruendo. I predicatori itineranti, Gianavello eroe della resistenza, la sentinella vigile, l’anziano che legge la bibbia ai nipoti; sono tutti elementi di un racconto che prendono visivamente “corpo” e diventano parte dell’immaginario dei e sui valdesi.

Fin qui il visto, ma dietro la storia del film c’è anche altro. Ci sono le motivazioni, dette e non dette, che spinsero alla sua realizzazione: parlare agli italiani e dire chi sono i valdesi e i protestanti oggi. Far capire che la loro storia è antica, è una storia di fedeltà all’evangelo, che la “germanità” che scatenò la I guerra non centra nulla con il protestantesimo. Il tutto si scontra con il fascismo, con le manovre di avvicinamento alla chiesa cattolica e ai Patti Lateranensi che arriveranno pochi anni dopo, siamo nell’anno del “delitto Matteotti”… Narrare per raccontare la propria libertà, che nasce dai valori della propria storia e che è radicata alle Valli e in Italia, si scontra con quello che è il contesto che si sta formando intorno e che pone il bavaglio della censura.

La storia oggetto della censura però la conosciamo poco perché a noi è giunta l’altra storia, quella “rimontata” negli Stati Uniti che narra i valdesi mitici e le mitiche Valli oltre che le terre della diaspora; che parla a chi è arrivato dall’altra parte dell’oceano partendo dalle Valli e a chi conosce o dovrebbe conoscere la storia Gloriosa dei valdesi. Sono narrazioni diverse per persone diverse e fatte da istituzioni o “agenzie” culturali differenti. I racconti si susseguono, gli elementi vanno rimodellando il proprio senso e il percorso prosegue fino ai giorni nostri con il film che diventa in Italia un documento prima “ricercato”, ma “disperso”, e poi ritrovato e oggetto di studio.

Ci si dice sempre al XVII febbraio che la libertà non è un qualcosa di scontato ma che va difesa. La narrazione è uno dei modi per difenderla ma può essere anche uno strumento che reinterpretato viene usato da altri, per questo la narrazione va seguita e non abbandonata a se stessa. Non è un qualcosa che sia dato in maniera definitiva, ha una sua vita e una sua evoluzione oltre che un suo radicamento. E’ una ricchezza ma anche uno strumento che bisogna saper difendere.

Il film del 24 tra le altre cose è un bel esercizio, se lo sapremmo usare, per capire meglio cosa significa narrare e usare gli strumenti che abbiamo per dire quello che siamo e vogliamo comunicare alle e con le persone. Anche questo fa parte della libertà: non essere isolati nel nostro dire o peggio divenire silenziosi abbandonando la narrazione agli altri. Semmai occorrerebbe costruire la narrazione con gli altri, in dialogo (non necessariamente in accordo) con loro, e qui sta il bello ma anche la parte complessa della libertà. Questa continua ad essere la sfida.