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Piero Gobetti, un intellettuale molto attuale

Fondatore del periodico «Energie Nuove» e del settimanale «Rivoluzione Liberale», Gobetti fu un precoce e acuto ispiratore dell’antifascismo di matrice liberale e radicale. Enzo Marzo, perché è importante ricordare la figura di Gobetti a novant’anni dalla sua scomparsa?

«Credo sia importante ricordare la figura di Piero Gobetti perché è stato uno dei più grandi intellettuali italiani. Gobetti è sempre stato tenuto “in un cono d’ombra” e mai annoverato tra i grandi intellettuali italiani, invece è tra i pochi che hanno promosso la tesi dell’identità nazionale. Gobetti seppur abbia vissuto una vita molto breve, morendo giovanissimo per mano fascista a soli venticinque anni, ha prodotto migliaia di pagine geniali grazie ai suoi studi sul Risorgimento e alle sue battaglie politiche. Lo possiamo considerare un’eccezione assoluta. Il suo pensiero fu dirompente nel periodo della nascita del pensiero fascista. La tesi di Gobetti è così riassumibile: il fascismo rappresentava l’autobiografia della nostra nazione. Ossia era il prodotto della nostra “italianità” che compose l’Unità nazionale. Una Unità “creata dall’alto” senza l’apporto delle forze sociali. Il fascismo per Gobetti confutava in pieno la sua tesi: “Un popolo di servi abituato ad essere schiavo”».

Gobetti chiedeva e sperava in una rivoluzione liberale, ossia?

«Una rivoluzione in cui le nuove classi dirigenti potessero forgiarsi per dirigere il paese nel quale lui abitava. Si riferiva ad un impegno della classe operaia che a Torino in quei tempi era molto fiorente dal punto di vista intellettuale. Grande maestro e punto di riferimento per Gobetti fu Luigi Einaudi che, già in anni precedenti, era riuscito a trovare consenso tra gli operai di Genova. Gobetti, infatti, pubblicherà molti articoli di Einaudi proprio nel suo libro “Le lotte del lavoro”. Gobetti sperava in un riscatto delle classi popolari guidate e o affiancate da élite di intellettuali prive di legami con il passato. Era consapevole che la polemica tra liberalismo e democrazia era falsa: la democrazia stava diventando un fenomeno di massa e dunque poteva essere facilmente raggirata, traviata, manomessa. Gobetti muore senza poter vedere proprio ciò che lui temeva, ossia l’avvento di fenomeni totalitari di massa come quello fascista e comunista stalinista. Temeva anche l’avvento di quella che lui vedeva come democrazia apparente: la democrazia della propaganda, delle opinioni deviate, delle ideologie che oggi potremmo definire populiste, la democrazia del falso voto. Lo sviluppo del nostro Paese poteva avvenire solo grazie alla circolazione di élite. La sua fu una vita tragica e quasi inverosimile: riuscì ad editare più di cento volumi, aveva contatti con tutti gli intellettuali antifascisti italiani e stranieri, scrisse migliaia di articoli, fondò riviste come la “Rivoluzione liberale” mentre per la rivista di Gramsci curava una rubrica teatrale. Una attività culturale, pubblicistica, intellettuale, quello del giovane Gobetti, oggi inimmaginabile».

Quale messaggio di Gobetti possiamo fare nostro a distanza di 90 anni?

«Gobetti è ancora attuale per un semplice motivo: i problemi che avevamo novant’anni fa nel nostro paese sono gli stessi che abbiamo ancora oggi. Anzi potrei azzardare che oggi i nostri problemi siano addirittura peggiorati. Abbiamo verificato da un parte l’incapacità e la non volontà della borghesia italiana di voler guidare questo paese, cosa che è invece avvenuta in paesi anglosassoni, dove i ceti sociali hanno saputo gestire democrazie, liberismo, portando principi e valori. L’impresa italiana si è invece fatta fascista nel fascismo, si è fatta succube della Democrazia cristiana per ottenere il ripianamento dei debiti. Per misericordia non voglio parlare dell’era berlusconiana, mentre oggi le nostre imprese vengono acquistate dai cinesi. Quello che chiedeva Gobetti, ossia che le forze sociali e gli intellettuali si prendessero le loro responsabilità, non è mai avvenuto, dunque il suo auspicio rimane di grande attualità. Noi oggi ci troviamo di fronte ad un’Italia invertebrata. I nostri intellettuali sono coloro che si sono dati – da soli – la patente di idioti quando hanno fatto finta, e lo spero per loro, perché sarebbe molto più grave se lo avessero creduto veramente, che la rivoluzione liberale in Italia si sarebbe potuta ottenere grazie all’avvento di Berlusconi. Una situazione grottesca. Credere che Previti, Dell’Utri, Berlusconi o Confalonieri potessero fare la rivoluzione liberale ci dice molto sullo stato di salute attraversato dal nostro paese».

Quale libro di Gobetti consiglierebbe di leggere ai giovani di oggi?

«Sono convinto che l’unica novità del pensiero politico italiano passi ancora oggi attraverso Einaudi, Salvemini, Gobetti e Rosselli. Rosselli è stato molto sfortunato e con la sua sfortuna è arrivata anche quella del nostro paese, perché Rosselli sarebbe certamente diventato il politico in grado di coniugare il pensiero e l’azione della modernità del pensiero liberale, pratica del pensiero socialista. Non consiglierei ai giovani di leggere “Rivoluzione liberale”, ossia il libretto manifesto che riassume il pensiero gobettiano; consiglierei di leggere le molte antologie di quegli anni e sul sito del Centro Gobetti di Torino la sua rivista manifesto che numero dopo numero racconta il percorso della battaglia contro il fascismo, allora nascente. In questo modo è possibile leggere non solamente Gobetti ma il pensiero ricorrente di quegli anni proposto da molti intellettuali: una fucina di giovanissimi in dialogo con grandi intellettuali come ad esempio, Benedetto Croce. Invece consiglierei di Gobetti il libro “Sulla libertà di John Stuart Mill” con la prefazione di Luigi Einaudi che è la summa del liberalismo italiano e inglese».