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I volti della misericordia

«Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse in piedi di fronte a me, non gli sparerei. Questo è il sentimento di compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la spinta al cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed Alì Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è ciò che la mia anima mi dice: stai in pace con tutti».

Sono parole pronunciate nel 2013 davanti alle Nazioni Unite da Malaia Yousafzai, giovane donna pakistana gravemente ferita dai talebani e poi insignita del premio Nobel per la Pace. Le riflessioni di Malaia hanno recentemente aperto i lavori di un singolare confronto interreligioso sul tema della misericordia. La sfida che – come Forum delle Religioni a Milano – avevamo (e abbiamo ancora) di fronte è quella di dire che cosa sia la misericordia di Dio nelle diverse tradizioni religiose. Ci vorrebbe un libro per raccontare tutto quel che è emerso nel corso di un recente convegno promosso dal Forum milanese delle religioni. Accontentiamoci di qualche accenno intorno a una materia vastissima.

Nella Bibbia la misericordia è un fil rouge che l’attraversa interamente. Il termine sottende vari significati a seconda dei contesti. Dio nella percezione ebraica è misericordioso; per l’ebreo Gesù i misericordiosi sono beati. Tenendo sempre davanti agli occhi l’universo sapienziale ebraico, siamo partiti come cristiani dalla domanda centrale di tutta la teologia di Lutero: «Come posso avere un Dio misericordioso?». E la risposta è la giustificazione per grazia mediante la fede. La Riforma protestante ha tentato di rimettere al centro il nucleo incandescente e luminoso della fede cristiana. Il cattolicesimo si è occupato più dei raggi che questo nucleo incandescente emana. Davanti a tanta luminosità le mediazioni – dice la sensibilità cattolica – sono necessarie. Ecco quindi la necessità del culto dei santi i quali riverberano la luminosità divina. Tra tutti spicca Francesco di Assisi con la sua vita di povertà e di predicazione, e con la luce che emana (per fare solo due esempi) dal suo bacio al lebbroso o dal dialogo con il sultano d’Egitto, nel 1230 circa. L’ortodossia orientale cristiana, nei suoi vari accenti, tenta di andare anche oltre i raggi luminosi emanati dal nucleo centrale, per spingersi sino agli estremi confini del mondo. La divina liturgia ortodossa ha di fronte a sé l’intero cosmo, considerato teatro della gloria di Dio che, in Cristo, ricapitolerà in sé tutte le realtà. Ecco dunque tre visioni cristiane differenti che però, grazie alla misericordia, conducono allo stesso obiettivo: tentare di inaugurare uno stile di vita altruistico. Per vivere bene occorre che questo bene lo si voglia anche per gli altri e non solo per sé. Mossi in questo non dalla paura di un giudizio, o attendendo una ricompensa adeguata, ma semplicemente perché si è amici e amiche di Dio.

Anche l’Islam ha fatto della misericordia, da sempre, un suo punto di forza spirituale. Nella recitazione delle cinque preghiere quotidiane l’aggettivo “misericordioso” attribuito ad Allah ritorna ben 17 volte. Dio è, prima di ogni cosa, “il misericordioso” e “il clemente” per eccellenza. Il Corano racconta che Dio, proprio per la sua misericordia, ha mandato il Profeta tra noi. Lo ha inviato perché annunciasse a tutti la misericordia divina. E di questa misericordia c’è anche una misura di grandezza. Se essa è grande cento – questa la metafora islamica – noi possiamo conoscerne un centesimo, un’unità soltanto. Le altre novantanove parti della misericordia l’umanità le conoscerà solo nel giorno del giudizio. La misericordia divina per il Corano è incommensurabile. Ma, per quanto grande possa essere la misericordia che giunge dall’alto, essa ha valore solo se accompagnata dalla giustizia. Misericordia e giustizia vanno quindi insieme, e debbono essere praticate a partire dal proprio nucleo famigliare per poi irradiarsi in tutta la società. Il Buddhismo, sia di tradizione tibetana che di tradizione Zen, al termine misericordia preferisce quello di compassione. Nella sensibilità buddhista il vero volto della misericordia è riuscire a farsi carico della sofferenza altrui. Comprendere bene la sofferenza dell’altro è la tappa necessaria di un cammino che conduce il praticante a entrare nello spirito di chi soffre. L’immagine dell’amore materno verso i propri figli indica, meglio di ogni altro esempio, questa particolare capacità “viscerale” che il buddhismo insegna, in vista dell’eliminazione di ogni sofferenza. Si tratta di un’esperienza religiosa ritmata dalla meditazione ma che si nutre anche della dimensione della reincarnazione, in un viaggio spirituale senza fine. Il Buddha insegna che, da quando inizi a vivere, inizi anche a soffrire. Non si nasce compassionevoli, ma lo si può diventare. E il buddhismo ti può insegnare la via per diventare misericordioso.

Sono tante insomma le suggestioni che nascono dal confronto interreligioso sulla misericordia, sia divina che umana. Ed è sorprendente scoprire quante cose ci siano in comune tra le varie tradizioni. Non solo sul piano teorico ma anche su quello dell’agire. Perciò, in una prossima occasione, il Forum delle Religioni a Milano intende compiere un concreto gesto pubblico di misericordia con rappresentanti delle cinque aree religiose presenti e operanti nella società milanese (induisti, buddhisti, ebrei, cristiani, musulmani). Sarà certamente un gesto di grande umanità. Del resto agire è più facile che discutere. L’azione unifica, la dottrina divide. Ma, prima di muoversi, occorre un supplemento di riflessione e chiarezza sulle motivazioni. Insomma ci vuole ancora un po’ di tempo. Non l’eternità. Tempo sì, ma non troppo perché misericordia significa agire verso chi è nel bisogno, a volte estremo. E forse il tempo per chi è disperato è già scaduto.