schermata_2015-12-28_alle_12

Di inverni il lupo non ne ha mai mangiati

E’ uscito nei giorni scorsi Di inverni il lupo non ne ha mai mangiati di Graziella Tron, il secondo volume della collana di romanzi storici pubblicati dal Centro Culturale Valdese in collaborazione con Radio Beckwith Evangelica. Il libro, scrive l’autrice, nasce «dalla riflessione sulle fasce della popolazione generalmente considerate marginali, o costituite da persone provenienti dall’immigrazione, mentre fanno invece parte integrante della storia e del costume del nostro Paese. Fasce di popolazione che hanno al loro interno, per lunga tradizione, un proprio bagaglio di esperienza, capacità, talento, meriti, tali da renderle elemento indispensabile anche al miglioramento delle condizioni di vita dei territori in cui si trovano ad operare. Sviluppo che, come dimostra la cronaca di questi giorni, non può prescindere da una conoscenza consapevole e informata anche delle regole che governano la natura».

A recensirlo è Paola Geymonat, autrice del primo volume, pubblicato ad inizio del 2015.


Già il titolo è un biglietto da visita: accattivante, suscita la curiosità del lettore.

La fotografia in copertina fa pensare a passeggiate in montagna durante l’estate per le persone che coltivano questo interesse, ma evocano in altre ricordi di lotte antiche durante le guerre di persecuzione religiosa.

Il modo di scrivere dell’autrice è di un certo livello: il suo è un “italiano giusto”, non saprei come definirlo altrimenti. Sa descrivere concetti, luoghi, situazioni, animali, territorio in modo artistico, direi. La pervinca che la bambina taglia, non strappa, con l’unghia del pollice è davanti a me come una foto o una cartolina. Trattandosi di anni relativamente lontani da noi durante i quali ci sono state molte trasformazioni, dallo spopolamento della montagna alla chiusura delle scuole potrebbe esserci la “tentazione” di usare un linguaggio nostalgico, tanto più che chi scrive è stata ed è impregnata di quella cultura e di quella realtà. E, credo, orgogliosamente imbevuta.

E invece non è così, lo stile è davvero… pittorico. E se si chiama in un altro modo io non lo so e non è importante saperlo. Il libro nella sua interezza è un omaggio alla natura in tutti i molteplici aspetti legati tra loro in modo indissolubile.

Il mondo vegetale è conosciuto dai piccoli abitanti delle pagine in modo profondo, dai nomi di erbe utili in cucina e non solo, agli alberi nelle loro differenze di portamento, ai fiori.

Gli animali e le persone, descritti come appartenenti a una categoria di uguali, come effettivamente erano. I sentimenti, appena accennati, timidi ma intensi, da leggersi tra le righe. Un tocco di pennello che sfiora appena il foglio, perché ha paura di rivelare troppo la sua riservatezza. E i sentimenti sono personali, non si possono esternare troppo, se si è adulti: i bambini se lo possono ancora permettere, mi sembra …

In ultimo, ma non per importanza, anzi, la tutela del territorio, che forse non aveva questo nome, ma era un tutt’uno con la vita di tutti i giorni. I muretti a secco ripristinati o ricostruiti che ancora vediamo durante le passeggiate in montagna hanno visto il concorso di tutti, grandi e piccoli, come la terra riportata con la gerla sui campi più in alto. Pesanti incombenze necessarie proprio perché anche da questo aspetto dipendeva il vivere nel luogo d’origine; con le sue fatiche cicliche, certo, ma nel senso di appartenenza a un luogo fisico che coincide con la propria comunità. Parentale, di fede, civile. Questi bambini sono stati gli ultimi a vivere esperienze così intense, nel bene e nel male, prima che le trasformazioni degli anni di fine secolo scorso li avvolgessero, giovani adulti, nel loro scorrere.