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“Il pianeta ha la febbre e anche io non mi sento tanto bene.”

Il graduale innalzamento della temperatura globale, per via dell’effetto serra, può causare nell’arco temporale di 30-50 anni, immani conseguenze: vaste aree non più abitabili per la siccità o per le inondazioni, inarrestabili flussi migratori, gravi tensioni politiche e possibili guerre. Per fronteggiare questa emergenza a Parigi, si è cercato e ottenuto un accordo sottoscritto da 195 Paesi del mondo, per contenere l’innalzamento della temperatura al di sotto di 2 gradi, mirando, auspicabilmente a raggiungere un 1,5°, mediante una drastica riduzione, in primo luogo, dell’uso dei combustibili fossili. Non meno significativo l’impegno dei Paesi industrializzati a investire 100 miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2020, per diffondere tecnologie verdi, decarbonizzare l’economia e sostenere i paesi più vulnerabili.

L’accordo, sancito dal documento finale, sembra essere andato perfino oltre i migliori auspici. E quindi bisogna esserne soddisfatti. Anche perché la conferenza che ha avuto luogo all’indomani dei tragici fatti di terrorismo di Parigi, poteva esserne negativamente condizionata. Molti esperti, tuttavia, non nascondono delle perplessità che quanto sancito nel documento finale venga poi, realmente, implementato a causa di un deficit dei piani di controllo. Gli interessi di singoli Stati, con le loro politiche energetiche troppo in contrasto con la direzione indicata dal documento, insieme al grave squilibrio con i paesi poveri, dai quali sarebbe iniquo pretendere gli stessi sacrifici richiesti ai paesi che hanno determinato lo squilibrio ambientale, rende l’attuazione difficile.

La crisi economica ha imposto drastici contenimenti di spese in molti paesi occidentali, ma si è disposti ad attuare politiche, altrettanto rigorose, per quanto riguarda il clima e la protezione dell’ambiente? La politica sembra avere spesso il fiato corto e orizzonti limitati alla successiva tornata elettorale assediata com’è da partiti autoritari pronti a cavalcare l’onda del malcontento popolare.

«Il pianeta ha la febbre e anche io non mi sento tanto bene». La verità è che l’ambivalenza dei Paesi è specchio di una ambivalenza anche degli individui. I governi non hanno la forza politica di imporre sacrifici che i cittadini non vogliono fare. Perciò bisogna lavorare per riuscire a ottenere un cambiamento di mentalità sull’idea stessa di benessere, oggi ancora troppo declinata sui soli consumi. Alexander Langer, già negli anni ’90, parlava di una civiltà ancora sospinta dagli antichi ideali olimpici di maggiore velocità, altezza e forza che fanno dell’antagonismo e della competizione sfrenata le regole del nostro vivere e auspicava la nascita di una nuova mentalità che privilegiasse quel che è più lento, più profondo e più dolce.

Come cristiani, in questi giorni, ci confrontiamo nuovamente con le ragioni intime della nostra speranza: Dio che ci visita in un bambino che ci offre salvezza mentre ci chiede protezione. Erode, ossessionato dalla possibile perdita del suo potere, vede in lui un’insidia. Ma alcuni saggi sono disponibili a fare un lungo viaggio notturno, per celebrare una regalità profonda e mite. Buon Natale, dunque, all’insegna della sobrietà e di un’idea nuova di benessere globalmente condivisa che comprenda anche il personale impegno per la salvaguardia del Creato.

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