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Al via i corridoi umanitari verso l’Italia

Inasprimento del controllo delle frontiere esterne dell’area Schengen: in tema di politiche migratorie il vertice europeo a Bruxelles ha trovato per ora questo, e solo questo denominatore comune. Istituire cioè un Corpo di guardie di frontiera ad hoc. I costi? Non si sa. Altri nodi invece rimangono senza soluzione: ricollocamenti, rimpatri, impronte digitali, politiche di integrazione, non c’è accordo su quasi nulla… e di corridoi umanitari neanche a parlarne. Mentre a Bruxelles litigano sulla gestione della crisi migratoria all’interno dell’area Schengen, riaffermando però il controllo delle frontiere esterne della fortezza Europa, a Roma, qualche giorno fa, rifacendosi al Codice dei visti di esattamente quell’area Schengen, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese, hanno lanciato un progetto-pilota per l’istituzione di corridoi umanitari dal Libano, dal Marocco e presto anche dall’Etiopia. Il protocollo d’intesa sottoscritto con il Ministero degli affari esteri e con quello dell’Interno, prevede per ora la possibilità per 1000 profughi in condizione di altissima vulnerabilità di ottenere un visto per motivi umanitari, ed arrivare così, in sicurezza e per vie legali, in Italia. Una prima europea! Certo, 1000 sono una goccia nel mare, è il caso di dirlo, ma eviteranno esattamente quel mare, quel viaggio della morte, che solo nel 2015 è costato la vita a più di 3500 persone, tra cui tanti, troppi bambini, in fuga da guerra e persecuzione. Persone che in virtù dei trattati internazionali avrebbero avuto diritto alla protezione.

La notizia dell’apertura dei corridoi umanitari verso l’Italia è stata rilanciata ben al di là del nostro territorio. Del progetto ecumenico, finanziato in larga parte dall’8 per mille valdese e quindi senza oneri per lo Stato, hanno parlato – tra gli altri – il quotidiano francese La Croix, il settimanale tedesco Der Spiegel, il TG dell’ORF austriaca, il quotidiano libanese in lingua francese L’Orient-Le-Jour, mentre il servizio stampa del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) con sede a Ginevra ha rilanciato la notizia diffondendola nei 5 continenti. In Italia, il quotidiano Avvenire il 17 dicembre ha dedicato alla notizia l’apertura in prima pagina titolando “La vera sicurezza”. Il giorno prima l’Unità è uscita con un’intervista in tema al presidente della FCEI, Luca Maria Negro. L’idea è quella di sperimentare un’alternativa che tuttavia sia legale e sicura. La norma che permette tutto ciò sta scritta nero su bianco nell’art. 25 del Regolamento (CE) n.810/2009 del 13 luglio 2009 che istituisce il Codice comunitario dei visti, e che prevede la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata “per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen. Una norma che non ha trovato finora applicazione, anche perché in realtà lascia alle singole ambasciate un’altissima discrezionalità in merito. Di qui l’estrema importanza della collaborazione del Ministero degli Affari esteri nell’istruire le proprie ambasciate in loco. Una volta accolti in Italia dalle organizzazioni promotrici, ovviamente i profughi potranno presentare domanda di asilo, e qui sarà fondamentale la collaborazione con il Ministero dell’Interno. Grazie all’accordo sottoscritto con le autorità competenti, per la prima volta, profughi già ad altissimo rischio almeno non dovranno rischiare la loro vita nei viaggi della disperazione.

L’auspicio dei promotori del progetto-pilota è quello che anche altri paesi dell’area Schengen possano avviare sperimentazioni analoghe. Sono convinti che si tratta qui di una buona pratica, un modello che può essere riproposto in tutta Europa. Non c’è motivo per cui paesi come la Svizzera, la Norvegia, l’Austria, il Lussemburgo e altri, che per ovvi motivi non saranno mai paesi di “primo approdo” come recita il Regolamento di Dublino, non possano applicare lo stesso dispositivo. Quante vite si potrebbero salvare, e a quanti scafisti e trafficanti di uomini si bloccherebbe il micidiale business, semplicemente applicando una norma già esistente per tutta l’area Schengen? Ma c’è di più: a parte che i costi per queste operazioni – rispetto per esempio a quanto andremo presumibilmente a spendere per l’innalzamento della fortezza Europa tramite guardie ad hoc – sono assolutamente sostenibili, il problema dei ricollocamenti dei profughi in Europa potrebbe essere già risolto a monte. La questione è aperta. Intanto chapeau ai promotori del progetto che ecumenicamente hanno avuto il coraggio di lanciare un sasso nello stagno.

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