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Accoglienza degli stranieri in montagna

A Pomaretto, un piccolo Comune della bassa Val Germanasca, per circa due mesi sono stati in molti a chiudersi in casa quando sono arrivati i richiedenti asilo dall’Africa. Oggi le cose sono cambiate al punto che, racconta Diego Mometti, responsabile del centro accoglienza straordinaria di Villar Pellice, Residenza Crumière, le resistenze e l’ostilità iniziali sono scomparse: «Qualche giorno fa una signora mi ha chiesto: «Ma non è che ce li portate via?».

Al Dipartimento di sociologia e ricerca sociale presso l’Università Bicocca di Milano, mercoledì 25 novembre si è svolto il seminario di studi «Immigrazione straniera nelle montagne italiane», organizzato dall’associazione Dislivelli.eu (http://www.dislivelli.eu/). Tra gli invitati alla tavola rotonda su «Accoglienza, inclusione, valorizzazione degli stranieri in montagna: le esperienze di enti locali e soggetti non profit» c’era anche la Diaconia valdese (http://www.diaconiavaldese.org), rappresentata da Diego Mometti della residenza Crumière.

Di questo esperimento di accoglienza in Val Pellice si era molto parlato nei mesi scorsi, il progetto è partito a settembre 2015 e a distanza di appena un paio di mesi viene già citato come esempio di buone pratiche dell’accoglienza in un convegno universitario. Il Centro di accoglienza straordinaria (Cas) che la Diaconia valdese ha deciso di creare su sollecitazione della Prefettura alla residenza Crumière ospita 60 richiedenti asilo e ha uno staff di 7 operatori che presidiano la struttura 24 ore su 24. Indispensabile la presenza di due mediatori culturali, uno dei quali è un beneficiario di protezione proveniente dal Gambia, e di un operatore che si occupa dell’assistenza sanitaria.

«Certo c’è la difficoltà – spiega Mometti – di avere uomini dai 18 ai 44 anni, subsahariani, ma di differenti nazionalità solitamente in conflitto tra loro, in una unica struttura. Ma organizziamo iniziative aperte a tutta la cittadinanza, abbiamo un laboratorio musicale, una ciclo-officina, un laboratorio di informatica, una palestra e un campo di calcetto e sta funzionando discretamente».

Nei centri di accoglienza uno dei problemi principali per gli ospiti è quello del cibo, come l’avete risolto?

«Sì, il cibo non è mai sufficiente probabilmente per colpa di una fame atavica: la ristorazione serve 220 grammi di riso a pasto per ogni immigrato. Rispetto alla qualità del cibo abbiamo coinvolgo gli stessi richiedenti asilo che hanno istruito il cuoco sulla cucina etnica e sulle loro preferenze». Una ditta esterna cura la ristorazione e ha attivato contratti con residenti sul territorio. Inoltre nel servizio mensa sono stati coinvolti tre rifugiati o ancora richiedenti asilo e due persone che fanno servizio di sala e presidio notturno, parte di un progetto di richiedenti asilo gestito dalla Diaconia valdese in val Travaglia.

La montagna è un luogo chiuso e le popolazioni montane almeno all’inizio sono sempre diffidenti, ma alla fine dimostrano apertura e cuore. «C’è una comunità cattolica e una protestante – continua Diego Mometti – e fanno a gara a chi riesce a dare una mano. Tutti si sono resi disponibili a collaborare per cercare di aiutare e migliorare le condizioni di queste persone».

Ospitate cristiani e musulmani, come è gestito l’aspetto legato alle religioni?

«I cristiani frequentano le chiese del territorio, i musulmani frequentano la moschea o pregano in gruppi. Abbiamo fatto anche accompagnamenti in moschea, stiamo per trovare un contatto affidabile della comunità musulmana di Torino che venga a fare degli incontri spirituali. Il pastore della chiesa valdese, Gregorio Plescan di Bobbio Pellice, il sabato viene a fare una lettura della Bibbia per chi vuol partecipare».

Continuano gli episodi di ostilità che ci sono stati all’inizio?

«Se una parte della comunità ci osteggia in modo violento, coinvolgendo gruppi politici di chiara matrice destrorsa, dall’altro non riusciamo sempre a tenere botta all’offerta di aiuto da parte di volontari (ex artigiani, famiglie, gente del paese). Dobbiamo quindi trovare il modo di strutturare questa grande offerta di volontariato in un modo compatibile con la vita del centro».

E gli ospiti della residenza si sentono isolati?

«Le persone che ospitiamo – conclude Mometti – vedono questo posto con sofferenza rispetto alla distanza con Torino. C’è però uno Sprar vicino e i richiedenti asilo possono dialogare e chiedere consiglio con altre persone come loro che hanno già vissuto sul territorio».

Nel corso della giornata di studi alla Bicocca di Milano è emerso un dato importante: lo scenario che si pensava irreversibile dello spopolamento alpino sta cambiando proprio grazie alle migrazioni. Secondo gli antropologi, potrebbe esserci un fenomeno per cui aree montane, svantaggiate da un lato dalla loro maggiore fragilità demografica, potrebbero dall’altro essere invece paradossalmente avvantaggiate dai maggiori spazi di creatività, economica oltre che culturale, prodotti dallo spopolamento.

Foto Daniele Passanante