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A Coazze fra Mattarella e Isaia

Sono 98 le persone che riposano nell’Ossario di Forno di Coazze, in val Sangone, piccola valle pizzicata fra la val Chisone e la val Susa. Qui la scorsa settimana, sabato 31 ottobre è arrivato Sergio Mattarella, in occasione dei 70 anni dall’inaugurazione del monumento che oggi è riconosciuto dallo Stato come Cimitero di Guerra (e che fu inaugurato il 4 novembre del ‘45). Il luogo è simbolico perchè nel maggio del 1944, durante un duro rastrellamento da parte delle forze nazi-fasciste vennero incendiate un gran numero di edifici e fucilati 23 partigiani, proprio nel luogo dove oggi sorge l’ossario. Appena conclusa la guerra di Liberazione gli stessi partigiani che avevano combattuto in quelle zone decisero di erigere questo grande monumento e di raccogliere le spoglie e la memoria di molte altre vittime degli oppressori nazi-fascisti. Fra le 98 persone ricordate a Forno di Coazze ci sono italiani, cechi, polacchi, russi; ignoti e medaglie al valor militare; donne e uomini; partigiani e civili; cattolici, ebrei e valdesi. Proprio per questa ultima diversità ogni anno sia a maggio (quando viene ricordato il rastrellamento) sia a fine ottobre inizio-novembre quando ricorre il ricordo dell’inaugurazione dell’Ossario, vengono chiamati a portare un saluto i rappresentanti delle comunità ebraiche e valdesi. La parte cattolica spesso tiene una messa.

A Forno di Coazze la chiesa valdese ha un tempio, edificato davanti al Comune, molto visibile ed è affidata al pastore Davide Rostan. «Quest’anno la solita messa non si è tenuta –ci spiega Rostan -probabilmente perchè l’etichetta e il cerimoniale del Presidente della Repubblica erano già molto lunghi. Da segnalare però che sia noi valdesi che la comunità ebraica siamo stati contattati e abbiamo avuto lo stesso spazio, come ormai da tradizione succede a Forno di Coazze». L’importanza di questo luogo è rimarcata dal fatto che in passato altri presidenti (prima Scalfaro e poi Napolitano) si siano recati a Forno. «Sono venuto a Forno di Coazze, nel 70° anniversario dell’Ossario –ha detto Mattarella -, per un sentito e doveroso omaggio all’Ossario dei caduti delle Guerre di Liberazione. In questo luogo, così suggestivo e carico di memoria e di dolore, riposano i corpi di 98 caduti, morti nei boschi e nelle campagne circostanti e trasportati pietosamente e meritoriamente fin qui dalla gente del luogo. Ho avuto già modo di parlare, in diverse occasioni, del valore fondante per la nostra Repubblica della lotta di Liberazione. E della necessità di tenere sempre viva la memoria dei martiri e vigile l’attenzione nei confronti di nuove e insidiose forme di sopraffazione, di distruzione e di morte». Piero Fassino, il cui padre Eugenio è stato comandante partigiano proprio in queste valli, è il presidente del Comitato dell’Ossario ed è intervenuto sottolineando che «Per me e per tanti della mia generazione questo è il luogo della nostra educazione democratica. Troppe sono ancora le aree del mondo in cui ai conflitti non si dà soluzione con la ragione e con la parola, ma li si radicalizza con le armi e con la violenza. Così riemergono episodi che credevamo estirpati dopo l’Olocausto».

Isaia 55,1-13 è il testo biblico scelto e commentato da Rostan. «L’invito a venire a mangiare e bere senza pagare nella visione di Isaia è qui rivolto a tutti, a chi arriva da lontano, a chi è ricco, a chi scappa dalla guerra, a chi non parla la stessa lingua, nazioni diverse popoli diversi, come se non ci fossero confini. Noi oggi ci raccogliamo qui per ricordare non tanto chi ha difeso un confine ma soprattutto chi ha combattuto contro una dittatura, che trovava nell’esclusione del diverso, del’ebreo, dell’omosessuale o del comunista la sua ragione d’essere, il suo collante. Isaia, oggi come allora ci chiama a conversione. Per chi allora è andato sui monti rispondendo alla vocazione che Dio gli aveva rivolto, la nostra costituzione, i diritti guadagnati, la fine della guerra, sono stati la testimonianza che Dio è fedele alla sua parola. Per molti altri sono stati la dimostrazione che era una battaglia giusta che valeva la pena di combattere, e il fondamento su cui costruire un paese diverso. […] Il monumento che oggi abbiamo di fronte è un po’ come quello di cui parla Isaia, non verrà distrutto ma resterà li, come la parola di Dio, come monito a ricordarci per cosa siamo stati liberati, di cosa siamo responsabili di fronte al Signore e su quale patto si fonda questo paese». 

Foto via cr.piemonte.it