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Quale libertà religiosa dei bambini?

«Le pratiche religiose dei bambini e delle loro famiglie vanno rispettate»: lo ha detto lo scorso 23 ottobre all’Assemblea generale dell’ONU a New York Heiner Bielefeldt, professore per i diritti umani presso l’Università di Erlangen-Norimberga, da diversi anni Special Rapporteur dell’ONU per la libertà religiosa e di coscienza. Suona come un monito, il suo ultimo rapporto incentrato sui diritti del fanciullo e dei suoi genitori in tema di libertà religiosa o di coscienza. In un momento storico in cui, a livello planetario, quello della libertà religiosa sembra essere un diritto sempre più bistrattato, in cui numerosi conflitti impediscono a moltissime persone e popolazioni di professare liberamente la loro fede, o di non professarne alcuna, Bielefeldt decide di mettere l’accento sui più vulnerabili e manipolabili, richiamando tutti ad agire responsabilmente: governi, comunità di fede, genitori e tutori. «Il diritto del bambino alla libertà religiosa e di coscienza va protetto», ha chiosato il professore, chiedendo agli stati in primis di «sostenere le famiglie nell’espletamento del loro ruolo di promotrici e realizzatrici dei diritti dei bambini».

Il rapporto tocca argomenti che vanno dalla socializzazione religiosa del bambino all’istruzione in seno alla famiglia, dalla partecipazione alla vita in comunità all’educazione religiosa nelle scuole, dal rispetto dell’appartenenza religiosa nei tribunali alle conversioni forzate, fino ai riti religiosi di iniziazione, un tema delicato quando si parla di circoncisione, «che comunque va sempre eseguita in condizioni sanitarie ottimali e da operatori professionali e competenti», si legge nel rapporto, che invece condanna le pratiche della mutilazione genitale o del matrimonio forzato delle bambine.

Secondo l’art. 14 della «Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza» – notoriamente la più ratificata di tutti i tempi, ma molto tristemente la più disattesa – ai bambini deve essere riconosciuto e garantito il diritto alla libertà religiosa e di coscienza. «Un articolo questo – mette subito in chiaro Bielefeldt – che va interpretato in modo esaustivo, nel senso che copre le credenze teistiche, non-teistiche, e ateiste, includendo quindi il diritto a non professare alcuna fede o credenza di alcun genere». Senza dimenticare che gli interessi del ragazzo, soprattutto quando ancora minorenne, ma già in grado di discernere «in coscienza», non sono necessariamente identici agli interessi dei genitori.

Agli stati chiede di rafforzare gli strumenti di non-discriminazione in materia, di rispettare, proteggere e promuovere il diritto dei genitori ad educare i propri figli secondo la propria tradizione religiosa o filosofica, e a rispettare in materia le capacità di sviluppo di ogni singolo bambino. Non mancano cenni al ruolo che hanno le scuole nell’istruzione religiosa (e qui il nostro pensiero non può che andare al sistema italiano dell’IRC e di tutte le sue implicazioni): un’istruzione che per Bielefeldt deve essere di «alta qualità», rendendo conto del pluralismo e della diversità delle tradizioni religiose altre, ma anche dell’esistenza di espressioni diverse all’interno delle stesse comunità di fede. E, tra le righe, non esita a criticare la legge francese sul divieto di indossare simboli religiosi a scuola quando dice che gli studenti «devono poter sperimentare liberamente e volontariamente manifestazioni della diversità religiosa o di credo come un aspetto normale del vivere insieme in società moderne».

Certo, è difficile immaginare che quei paesi, che non rispettano i diritti delle proprie minoranze religiose, e quindi di gruppi di adulti, possano improvvisamente seguire le raccomandazioni di Bielefeldt proteggendo il diritto alla libertà religiosa e di coscienza della popolazione non adulta. Ma se non altro, il rapporto di Bielefeldt, che espleta magistralmente il suo ruolo di «grillo parlante» a livello planetario, offre una valida base per riflettere sul nostro rapporto con le future generazioni.

Il rapporto è scaricabile in francese qui

Foto via Pixabay