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Le chiese dalla parte delle bambine e dei bambini

Le chiese dalla parte delle bambine e dei bambini. E’ questo il nuovo e importante impegno che il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) ha assunto lo scorso 18 settembre a Ginevra sottoscrivendo uno storico – direi proprio così: storico – accordo con l’Unicef per la difesa dei diritti dei bambini. Un impegno che verte principalmente su due ambiti: la violenza contro i minori e gli effetti dei cambiamenti climatici sulla vita dei più piccoli, soprattutto nei paesi più poveri del mondo. E’ una buona e, in qualche modo, nuova notizia, perché se, da un lato, le chiese sono teologicamente e socialmente “ben equipaggiate” – così si è espresso il segretario generale del Cec, pastore Olav Fykse Tveit – per farsi luogo d’accoglienza e di crescita degli esseri umani in assoluto più vulnerabili, come sono i bambini, dall’altro proprio le chiese hanno molto da farsi perdonare.

Non è ancora scomparsa l’eco del grande scandalo che qualche anno fa ha travolto alcune diocesi cattoliche per l’insabbiamento di numerosissimi casi di abusi avvenuti in tutto il mondo. In alcune nazioni come l’Irlanda, quello scandalo ha cambiato – non interrotto, ma certamente cambiato – il rapporto tra la popolazione e la chiesa di maggioranza. Quello scandalo ha però contribuito ad aumentare la consapevolezza delle chiese. Solo per citare un’iniziativa, qualche anno fa la chiesa avventista ha lanciato a livello mondiale la “Campagna 7. Sette passi per fermare la violenza sui minori”, offrendo dati e analisi, suggerendo procedure da adottare e azioni concrete da compiere. Soprattutto, la “Campagna 7” ha spiegato che le chiese sono proprio uno dei luoghi in cui si possono incontrare dei predatori sessuali. Su 100 abusi su minori solo 5 vengono compiuti da estranei, mentre 95 sono opera di padri, parenti, amici, insegnanti, religiosi. I predatori sessuali si nascondono nel quotidiano e nel familiare, nei luoghi considerati più sicuri e protetti. Quindi bisogna parlare apertamente del problema e attrezzarsi per affrontarlo.

Ma naturalmente gli abusi sui minori sono solo un aspetto della violenza che i bambini subiscono. Violenza è lo sfruttamento economico e lavorativo; violenza vera è la fame che miete vittime in gran parte del mondo; violenza è la fuga dalle proprie case e dalle proprie nazioni imposta a moltissimi bambini a causa di guerre, persecuzioni e anche dei cambiamenti climatici; violenza è il disumano, e spesso mortale, viaggio per arrivare in Europa. La Bibbia – e questo è un elemento che dovrebbe favorire l’impegno dei cristiani – conosce bene questi tipi di violenza e li racconta e li condanna in ogni sua pagina. La Bibbia conosce i bambini per quel che sono: gli esseri umani più fragili, quelli che risentono in modo più drammatico e amplificato della guerra, dell’ingiustizia, della fame, della violenza. Ogni adulto è potente davanti a un bambino e ogni azione dei grandi ricade moltiplicata per dieci, cento e mille sui piccoli della terra.

Se la coscienza cristiana ha presente questa testimonianza biblica – che nell’Antico Testamento culmina con la difesa degli orfani, una categoria che viene sempre ricordata insieme alle vedove e agli stranieri, i tre gruppi che nella società antica erano privi di qualsiasi protezione sociale – tuttavia c’è ancora da compiere un lavoro di riflessione biblico teologica che le chiese devono assumersi per rafforzare nella loro coscienza l’imperativo della difesa dei diritti dei bambini. L’impressione è che, se nessuno nega l’importanza dei bambini, nelle chiese rimangano piuttosto un “rumore di fondo”, piacevole, indispensabile, ma non preso troppo sul serio. La stessa impressione la si ha quando si considerano i testi dei Vangeli riguardanti i bambini, a partire dalle famose parole di Gesù: “Lasciate che i bambini vengano a me”. L’impressione è che questi brani vengano trattati come narrazioni episodiche, intermezzi solari in un racconto che segue altre direttive più adulte. Non è così. I testi sui bambini nei Vangeli costituiscono un inequivocabile, sebbene ancora largamente inesplorato, filo conduttore teologico. Prendiamo la sequenza dei capitoli da 17 a 21 del Vangelo secondo Matteo. Essa comprende: la guarigione di un ragazzo epilettico (cap.17); Gesù che pone nel cerchio dei discepoli un bambino e lo indica come l’esempio del vero cittadino del regno (cap. 18); l’ammonimento di Gesù: “Guai a chi scandalizza uno di questi piccoli” (cap. 18); Gesù che accoglie i bambini e dice che “di loro è il regno dei cieli” (cap. 19); Gesù che entra a Gerusalemme acclamato dai bambini che gridano “osanna” nel tempio (cap. 21). Non sono semplici episodi, ma una sequenza in cui i bambini sono ripetutamente descritti come cittadini del regno e in cui Gesù non solo li accoglie ma si identifica con loro: Gesù sulla croce è inerme e indifeso come lo può essere un bambino, schiacciato dalla violenza del mondo dei grandi, degli adulti, di chi sa come vanno veramente le cose. Nella loro vulnerabilità i bambini sono figure cristologiche. Nelle chiese di oggi la figura dello straniero è tematizzata teologicamente, quella delle donne lo è altrettanto, attraverso il lungo lavoro esegetico e teologico dei Women’s Studies; forse il movimento ecumenico può aiutarci a tematizzare allo stesso modo la figura dei bambini, i veri cittadini e cittadine del regno che viene. 

Fonte Nev – Notizie Evangeliche

Foto “Sudan Envoy – UNICEF Tent” by Sudan EnvoyUNICEF Tent. Licensed under CC BY 2.0 via Wikimedia Commons.