istock_000071440175_full-web

Nel nome del profitto

Ci sono momenti in cui il modo e i tempi in cui gli accadimenti si presentano rendono visibili collegamenti che prima era meno facile vedere. Chiamiamo questi momenti coincidenze.

Domenica 20 settembre 2015 nella Chiesa valdese di Milano si era chiuso un intenso incontro di tre giorni delle chiese di una decina di paesi che aderiscono al progetto Gallo Verde, un coordinamento per promuovere una pratica responsabile e virtuosa da parte delle chiese in materia ambientale. Il Gallo Verde ha il suo centro propulsore in Germania dove le chiese protestanti sono importanti e le collaborazioni ecumeniche frequenti. Vi era, fra i partecipanti, una certa allegrezza, prossima alla soddisfazione: qualche cosa si fa e si può fare, comportamenti concreti danno frutti e testimonianza.

Lunedì 21 settembre è stato un brusco risveglio, con il fulmine a ciel sereno della truffa ambientale programmata della Volkswagen. Non erano gli approssimativi industriali cinesi che nel 2008 mettevano la melamina nel latte per neonati e ne facevano morire un numero imprecisato. Non era la disordinata periferia del mondo che contaminava acqua e aria. Il cuore del cuore del mondo avanzato si era preso gioco di milioni di persone usurpando beni comuni (in questo caso aria) per infilarli nei propri processi produttivi e dirivarne profitti non regolari.

E in questi stessi giorni in Brasile, lontano margine di un altrove, ancora la potente Volkswagen doveva ricevere l’algida notizia che la documentazione raccolta dal gruppo di sindacalisti che avevano lavorato nella Commissione nazionale per la verità (CNV) della Presidenza della Repubblica sulle violazioni dei diritti umani nel periodo della dittatura militare (1964-1984) era stata accolta dal Ministero pubblico federale per aprire un processo contro il potente gruppo automobilistico. L’accusa è che la corporazione nel periodo della dittatura era complice con lo Stato brasiliano nel perpetrare crimini di lesa umanità: imprescrittibili per il diritto brasiliano e internazionale. La corporazione aveva infatti fornito agli organi della repressione dati sui lavoratori delle proprie fabbriche; e quelle informazioni portarono alla prigione, tortura e morte di uomini e donne. Per questo contro la Volkswagen si possono aprire processi per risarcimento collettivo ai lavoratori.

Se c’era bisogno di uno squillo di tromba per fare capire che la questione ambientale non può aspettare questo caso lo fa risuonare con forza: sia sul versante della difesa dei beni comuni che su quello dei diritti del lavoro. E dice anche che difficile, forse impossibile, è nascondere il malaffare: il tempo è paziente, i controlli un giorno arrivano. Ma bisogna vigilare, costruire “un nuovo cielo e una nuova terra” nella mente, alimentare la speranza di un destino comune e migliore che tenga a bada il caino che è sempre all’erta in ciascuno di noi.

Images ©iStockphoto.com/Baris KARADENIZ