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Il papa e la sindrome del «mezzovuotismo»

E’ stato molto interessante e istruttivo, per un cattolico (sebbene sgangherato, come il sottoscritto), seguire il dibattito intra-protestante che è seguito alla visita di papa Francesco al Tempio valdese di Torino. La cosa che forse mi ha colpito e stupito di più è stato vedere, accanto a tante reazioni positive, anche un abbondante numero di prese di posizione scettiche, se non decisamente critiche. Mi pare, insomma, che anche la Chiesa valdese sia stata contagiata dal virus del «mezzovuotismo», quella sindrome in base alla quale – quando il bicchiere è a metà – allora è sempre mezzo vuoto, mai mezzo pieno. Una sindrome ben nota (sin da tempi non sospetti, direbbe Altan) alla Chiesa cattolica.

Tra i vari interventi, ne cito giusto un paio, tanto per capirci. Il primo, di Joachim Langeneck, è uscito sul settimanale cartaceo Riforma del 10 luglio. Dice Langeneck, in parole (molto) povere: il fatto che papa Francesco sia simpatico non cambia nulla, perché noi “abbiamo problemi” non con questo o quel papa, ma con il papato in sé. Inoltre, facile chiedere perdono, come ha fatto Bergoglio, per le colpe del passato, ma la Chiesa cattolica si ostina a non chiedere perdono per le colpe del presente, come ad esempio la sua opposizione sulla questione dell’omosessualità. Dunque – è la conclusione –, cari valdesi non fatevi abbindolare.

Altra presa di posizione dubbiosa, se non proprio scettica, è quella di Marco Rostan su Riforma on line, uscita il 17 luglio. Il tono è certamente più meditato e pensieroso, ma le conclusioni non sono molto distanti da quelle di Langeneck. Secondo Rostan, occorre riflettere bene sulle diversità teologico-dottrinarie (ad esempio, sull’eucaristia/santa cena) che restano «inconciliabili» tra cattolici e riformati, altrimenti l’ecumenismo diventa il cammino verso una «religione vaga e spirituale», una sorta di «religione fai da te» in cui, come la notte hegeliana, tutte le vacche sono grigie.

Sia chiaro: sia Langeneck che Rostan hanno ragione quando sottolineano che papato, eucaristia e i vari temi di morale sessuale e personale sono questioni nodali, veri “casi seri” su cui si misurano le diverse visioni tuttora tra esistenti tra Chiesa cattolica e Chiese della Riforma. Ma la domanda centrale è se «diversità» debba essere necessariamente sinonimo di «divisione». E se, al contrario, sia possibile una ecumene cristiana all’insegna delle «diversità riconciliate». Tocca intendersi, insomma, sull’obiettivo del dialogo e sull’identità stessa movimento ecumenico. Ben sapendo, però, che se continueremo a scegliere la via secondo cui ogni «diversità» è anche, di fatto, una «divisione», allora non ci sarà alcun limite al continuo rompersi del fragile bene della comunione (si veda il caso degli anglicani). Sarà il trionfo del più isterico «mezzovuotismo».

Foto Pietro Romeo/Riforma