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Le linee rosse sul nucleare iraniano

All’inizio del mese di aprile il capo della diplomazia della Commissione europea, Federica Mogherini, insieme al ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, avevano annunciato di aver raggiunto un’intesa di massima per arrivare a un accordo quadro sul nucleare iraniano, comunicando allo stesso tempo che le trattative si sarebbero concluse entro il 30 giugno e che avrebbero portato a una storica ridefinizione dei rapporti internazionali dell’Iran. Tuttavia, gli ultimi mesi di dialogo informale, così come i negoziati ufficiali ripresi a Vienna la scorsa settimana, non si possono segnalare per significativi passi avanti.

Nonostante il rallentamento, però, tutte le parti sembrano convinte che un accordo si troverà, magari già nei prossimi giorni. Secondo Tiberio Graziani, presidente dell’Isag, l’Istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie, le decisioni chiave spettano a Teheran e Washington. «l’Iran ha interesse a far sì che si trovi una soluzione in tempo più o meno breve, e allo stesso modo gli Stati Uniti. L’Iran per una motivazione dovuta alla loro bilancia commerciale […], gli Stati Uniti invece nel quadro della lotta all’Isis».

Proprio il conflitto in Siria potrebbe rappresentare la spinta decisiva per un’intesa che ormai si attende da dieci anni, dall’ultima fase della presidenza Bush. Molte cose sono cambiate, e soprattutto sembra essere davvero lontana la percezione occidentale nei confronti dell’Iran, passato da essere considerato il “grande male” ai tempi di Ahmadinejad a un potenziale alleato da un anno a questa parte.

Guardando a Teheran, in effetti, sembra essere in corso un passaggio sempre più deciso da una politica di appartenenza ideologica a una fondata sul realismo, probabilmente accelerato dalle sempre più pesanti perdite economiche derivanti dalle sanzioni hanno imposto strategia e prassi differenti rispetto al passato. «Certo – avverte Graziani –, permane la questione che per la stabilità regionale questa soluzione di accordi con l’Iran non piace molto né a Israele né all’Arabia Saudita».

Proprio questa mattina, infatti, il presidente israeliano Netanyahu ha definito ancora una volta «sbagliata e pericolosa» la possibile intesa con l’Iran, difesa invece dal ministro degli esteri italiano Gentiloni, in visita di Stato in Israele. Allo stesso modo i vertici dell’Arabia Saudita si sono sempre opposti a ipotesi di accordo, anche per il timore di un Iran egemone nell’area. «L’Arabia Saudita, che a livello dottrinale ha un substrato culturale [il Wahabismo, ndr] molto simile all’Isis – spiega Graziani – non vuole avere altre potenze egemoni nell’area, e una di queste è sicuramente l’Iran sciita. L’Iran rappresenta dal punto di vista geopolitico un contendente e dal punto di vista ideologico un avversario».

Tornando a Vienna, le distanze tra gli interlocutori sono ancora significative, e le recenti dichiarazioni della guida suprema iraniana, l’ayatollah Alì Khamenei, che ha detto che non permetterà le visite dei funzionari dell’Aiea, segnano un ostacolo importante, anche se non del tutto nuovo. Si tratta di “linee rosse” ricorrenti, che da una parte e dall’altra del tavolo delle trattative hanno segnato speranze, delusioni, passi avanti e balzi indietro, con il rischio di far saltare il banco a ogni passaggio. «Le ispezioni, il numero di centrifughe e la quantità di uranio sono i classici punti di disaccordo tra i 5+1 e Teheran, vengono riproposti di volta in volta per affossare o accelerare la soluzione delle sanzioni».

Proprio le sanzioni rappresentano l’altro nodo. Due giorni fa Khamenei ha chiesto nuovamente che vengano terminate «contestualmente all’attuazione, verificata dall’Aiea, dei principali impegni dell’Iran». Per gli Stati Uniti, invece, le proprie sanzioni e quelle dell’Unione europea saranno solo “sospese” dopo la verifica dell’Aiea su tutti i passi compiuti dall’Iran e potranno tornare in vigore in caso di inadempienze. Khamenei, rifiutando cornici temporali differenziate e sostenendo che l’Aiea ha mostrato di non essere indipendente, ha affermato che tutte le sanzioni economiche devono essere revocate con la firma dell’accordo, definendo poi in seguito una «ragionevole tabella di marcia» per il superamento di quelle politiche, legate soprattutto al sostegno di Teheran al movimento libanese di Hezbollah.

L’ultima proposta iraniana, quella di un superamento in blocco delle sanzioni in contemporanea con la firma di accordi più favorevoli agli occidentali, è stata bocciata dal Congresso statunitense, saldamente in mano ai Repubblicani e contrario alla stipula di un accordo, sia per motivi geopolitici, sia per strategie interne. Inoltre, bisognerà pensare al cambio di presidenza negli Stati Uniti: il nuovo presidente sarà in sintonia con il lascito di Obama o prenderà altre strade? La fine delle sanzioni è a un bivio, e non è così scontato che l’elezione di un presidente Democratico, anche se si trattasse della grande favorita Hillary Clinton, possa garantire la continuità.

Tuttavia, la partita non è soltanto economica, energetica e geopolitica: un Iran pienamente integrato nella comunità internazionale permetterebbe di discutere con Teheran anche di un aspetto critico, sul quale raramente si sono visti passi in avanti significativi. I diritti umani, infatti, sono stati uno tra i “fantasmi” di queste trattative, messi da parte in vista di tempi migliori. È venuto il momento di superare anche questa linea rossa, la più profonda di tutte.

Foto  “Iran negotiations about Iran’s nuclear” by U.S. Department of State from United States – http://www.flickr.com/photos/statephotos/11034112846. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.