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La famiglia che cambia non è una novità

Un documento base per il prossimo Sinodo dei vescovi, che si svolgerà ad ottobre e che avrà come tema principale la famiglia, accenna all’accoglienza delle persone omosessuali, all’apertura nei confronti dei divorziati e a posizioni più morbide nei confronti della nullità matrimoniale. Sebbene non sia un documento definitivo, dà l’immagine del dibattito e della riflessione crescenti nella chiesa cattolica sul cambiamento dei modelli di famiglia. In questi giorni, anche la manifestazione del Family Day a Roma e l’eterna discussione sul ddl Cirinnà sulle unioni civili danno modo di riflettere su come l’Italia intenda e immagini la famiglia che cambia nel 2015. Ne discutiamo con Loredana Sciolla, docente di Sociologia all’Università degli Studi di Torino.

Esiste un modello di famiglia tradizionale in Italia?

«Sì, anche sulla base di ricerche internazionali comparate, vediamo come in Italia ruolo della donna, divisione dei compiti e dei ruoli, dimensione lavorativa siano aspetti che hanno a che vedere con una concezione tradizionale di famiglia. Nel nostro paese c’è uno zoccolo duro, forte e diffuso, di tradizionalismo che ha uno stretto legame con l’appartenenza e la partecipazione ai riti della religione cattolica. Non mi sono stupita che ci fossero tante persone al Family Day. Ci sono pochi paesi in Europa che hanno una concezione così tradizionale della famiglia e il fatto che la chiesa cattolica abbia aperto un po’ con questo documento avrà un’influenza positiva sugli orizzonti culturali».

I nuovi modelli di famiglia sono un fenomeno recente?

«La famiglia non solo sta cambiando, ma è già cambiata enormemente. Le accelerazioni più grandi sono avvenute da metà del secolo scorso in avanti. Rispetto ad allora la famiglia è irriconoscibile: come parlare di un unico modello di famiglia? Ci sono modelli e fenomeni emergenti che è impossibile sottovalutare: unioni di fatto che sono cresciute considerevolmente, così come è successo per i nati fuori dal matrimonio (una volta chiamati figli illegittimi); sono inoltre cresciuti i matrimoni civili rispetto a quelli religiosi. Anche la struttura del modello tradizionale è cambiata: la famiglia con relazioni dominanti e di autorità, con una struttura gerarchica e con ruoli definiti tra padre e madre, non esiste più: tutte le ricerche ci dicono come i modelli autoritari sopravvivano in pochissime famiglie. Detto questo ricordiamo che in Italia i ruoli all’interno della casa, per esempio, sono ancora molto segregati, la donna si fa carico del lavoro domestico (anche quando ne ha uno all’esterno), così come della cura delle persone malate. Questo crea molte contraddizioni: una donna deve fare delle scelte difficili, tra un lavoro che piace e la cura della casa. In Europa, la divisione dei ruoli è molto più paritaria».

Che ruolo ha l’educazione in questo tipo di abitudine?

«Grande. Ci vorrebbe un’educazione sempre più stimolante per i bambini, ma oggi torna un modello di stereotipo di genere persino per i più piccoli, complice forse il mercato che ha bisogno di diversificare i propri target. Pannolini e giocattoli per bambini e per bambine, settori differenziati nei negozi: una società che ha dimenticato che ci sono stati dei momenti in cui tutto questo è stato combattuto e sono stati fatti dei passi in avanti. La scuola può avere un compito molto importante nel portare avanti questa sensibilizzazione. Di questi cambiamenti dovrebbero tenere conto la chiesa cattolica, la scuola, e la società civile».

Questi modelli di famiglia sono in contrapposizione con quello che abbiamo definito tradizionale?

«Questi modelli esistono e si diffondono sempre di più: questo è il dato oggettivo. La contrapposizione con i modelli tradizionali avviene quando il tradizionalismo diventa un’ideologia sbandierata per qualche ragione politica, come mi sembra avvenga in questi Family Day. Sbandierare un’idea come un vessillo diventa una forma di intolleranza, perché nessuno dice di eliminare il modello tradizionale, solo garantire dei diritti alle altre famiglie. Qui la cosa si complica, i problemi aperti sono molti».

Ha parlato del rischio di sottovalutare i fenomeni già esistenti: c’è in Italia?

«Sì. E non da oggi. Tutti i timidi tentativi di regolare questi fenomeni sono falliti. La politica deve tenere conto delle esigenze nuove che la società pone. Se non accade ci saranno sempre più problemi nel futuro. L’opinione pubblica stessa dovrebbe dare maggiore risalto a questi aspetti, discutendone pubblicamente. Lo si fa raramente e si preferisce discutere di politichese senza contenuto, se non quando succede davvero qualcosa. Spesso questi argomenti vengono trattati in maniera faziosa: o sei pro o sei contro. Ma sono un aspetto quotidiano da discutere insieme: le ricerche sociologiche, antropologiche e economiche sono ormai amplissime, ci sono molti elementi per valutare questo cambiamento in modo approfondito».

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