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Crisi della Grecia, o crisi dell’Europa?

Dopo il lungo braccio di ferro, che dall’inizio di febbraio ha opposto il nuovo governo greco alle istituzioni creditrici (UE, BCE, FMI), note come Troika, la crisi è sfociata in una rottura, e nel referendum indetto da Atene il 5 luglio. Questo durissimo scontro politico e ideologico segna una svolta drammatica nella storia europea.

Il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, che non usa mezzi termini, sul New York Times ha definito “una mostruosa follia” la politica dei governi dell’Eurozona e delle istituzioni creditrici, che ci ha portato a questo punto. Imporre alla Grecia nuove misure restrittive (tagli ulteriori alla spesa pubblica e aumenti dell’imposizione fiscale) era infatti una follia, dopo che il paese si era impoverito di un quarto tra il 2010 e il 2014, e in presenza di una disoccupazione al 28 per cento. E’ sotto gli occhi di tutti “il fallimento evidente” della cura dell’austerità: come ha scritto un noto economista liberale, non di sinistra, come Paul De Grauwe. Nonostante un costo sociale altissimo (un quinto della popolazione sotto la soglia della povertà, oltre un terzo “a rischio di povertà e esclusione”: dati Eurostat), neanche l’obiettivo di ridurre il debito è stato raggiunto: a causa della recessione, il rapporto debito pubblico /PIL è salito dal 142 % del 2010 fino a sfiorare oggi il 180 %. Questo in un paese in cui già prima dell’esplodere della crisi si erano manifestati evidenti squilibri strutturali. La rottura si è consumata su temi concreti, le pensioni, le aliquote IVA, il mercato del lavoro, oltre che su un’eventuale ristrutturazione del debito. Impressiona il fatto che la Troika abbia colpito senza scrupoli le fasce più povere della popolazione, opponendosi invece radicalmente alla sola idea (avanzata dal governo greco) di un’imposizione una tantum sui profitti aziendali più elevati. Questo atteggiamento palesemente classista, rivolto contro i più deboli, è del tutto coerente con la bocciatura, da parte dell’UE, della legge che prevedeva un modesto aiuto alimentare e ai consumi elettrici delle famiglie più povere, votata in marzo dal parlamento di Atene. Altre misure imposte in passato dalla Troika sono prettamente ideologiche e non incidono nell’immediato sul debito: come la riforma dei contratti di lavoro. Tutto questo ci dice molto sull’ideologia e sulle politiche oggi dominanti in Europa.

Si è cercato di ripetere un copione sperimentato con altri paesi in crisi debitoria, i cui governi erano stati costretti dalla “condizionalità” dell’aiuto di emergenza a rimangiarsi le promesse elettorali, e a sottostare alle minuziose ricette dell’austerità: tagli alle spese pubbliche, smantellamento del welfare, aumento dell’imposizione fiscale. La novità è che questa volta il governo di un piccolo paese periferico ha detto no, e ha resistito per mesi alle pressioni, cercando in tutti i modi di rinegoziare politiche meno penalizzanti per la popolazione e più espansive, per favorire una ripresa dell’economia. Tsipras e Varoufakis hanno tenacemente perseguito una terza via, tra la disciplina cieca alle ricette dell’austerità e le reazioni antieuropee di tipo nazionalistico. Il loro progetto si è però scontrato con il muro delle “istituzioni”, e si è arrivati alla rottura.

Sotto i nostri occhi, si delinea una sconfitta grave del progetto di integrazione europea e della stessa democrazia in Europa, se una tecnocrazia sovranazionale cerca di far cadere il governo eletto di uno Stato membro. Persino la razionalità economica, il calcolo dell’interesse e della convenienza sono stati travolti dalla volontà punitiva nei confronti di un governo che ha osato disallinearsi dall’ortodossia dominante, pur restando fermamente europeista. Non è interesse del creditore ammazzare a bastonate il debitore, se vuole recuperare i suoi soldi. Ma non è più questo il problema. Siamo molto al di là della razionalità economica, siamo allo scontro di potere in forma diretta e brutale. Si teme il contagio “politico” molto più di quello “finanziario”. Come tutti ormai sappiamo, in tedesco la parola schuld indica sia “debito” che “colpa”. Se serve una vittima sacrificale, Tsipras e Varoufakis sono perfetti per questo ruolo. Impressiona il loro insistente appello alla ragione, ispirato da pragmatismo, non da ideologismo. Il loro definire – con argomenti solidi – le richieste dei creditori “irrazionali” e controproducenti. Un appello che si scontra con la volontà della punizione.

Nel governo e nell’opinione pubblica tedeschi ci si appella invece all’etica: “i debiti vanno pagati”, senza sconti. Questo è paradossale in un paese che non ha onorato i suoi, di debiti, né dopo la prima né dopo la seconda guerra mondiale. Se gli Alleati si fossero comportati con la Germania sconfitta (e con quali colpe a suo carico) come questa si comporta oggi con la Grecia, e non avessero invece condonato con realismo e lungimiranza i suoi debiti negli anni Cinquanta, la Repubblica Federale si sarebbe avvitata nella spirale recessiva dell’impoverimento, e non avrebbe conosciuto ripresa e boom economico.

Questo appello all’etica, in un paese a forte presenza luterana, pone anche pressanti quesiti sull’adeguatezza della cultura protestante su questi temi, e sui rapporti non scontati, tutti da approfondire, fra teologia, etica ed economia. Quali posizioni hanno preso le chiese su questi temi?

I dogmi dell’austerità, oggi acriticamente assunti da quasi tutti i governi europei (non certo da quello americano, più pragmatico) ci riportano alle idee economiche precedenti il 1933: prima di Roosevelt, prima della rivoluzione keynesiana nel pensiero economico, alla base degli sviluppi del modello sociale europeo, del capitalismo “temperato” e regolato. Tutto questo è oggi rimesso in questione. Non possiamo non interrogarci su questi “idoli” contemporanei, che chiedono sacrifici, e sono capaci di divorare la vita di generazioni di uomini e donne, condannandoli alla disoccupazione.

La crisi della Grecia è la crisi dell’Europa, è la nostra crisi: quale Europa vogliamo?

Foto di Πρωθυπουργός της Ελλάδας via Flickr | Licenza CC BY-SA 2.0