1024px-palazzo_montecitorio_rom_2009

La nuova legge elettorale: obiettivi e criticità

In un clima traversato da accesissime polemiche (fino all’abbandono dell’Aula da parte degli oppositori), richiamandosi anche minacce di eversione della democrazia, è stata approvata la nuova legge elettorale della Camera dei Deputati (06-05-2015, n. 52, il cosiddetto Italicum). È purtroppo accaduto ciò che in linea di principio sarebbe il più possibile da evitare (ma che nel concreto della politica non di rado avviene, e non solo in Italia) e cioè un’approvazione della legge elettorale (una legge «di sistema») a maggioranza risicata e in un clima arroventato. Non solo l’atteggiamento ultimativo del Premier e dei favorevoli ha contribuito a questo esito, ma anche quello delle opposizioni, soprattutto di alcune, che hanno cambiato repentinamente posizione per ragioni di ritorsione politica.

Un ciclo si è quindi chiuso, ma si profilano ulteriori passaggi, per nulla indolori. L’applicazione della nuova legge è stata posticipata al 1° luglio 2016; se prima di allora non si definirà l’assetto costituzionale (e, conseguentemente, elettorale) del nuovo Senato, ove si profilassero elezioni anticipate, si aprirebbero scenari assai preoccupanti: l’Italicum riguarda infatti solo Montecitorio e una sua estensione e adattamento a Palazzo Madama innescherebbe nuove aspre polemiche politiche e costituzionali.

L’Italicum persegue, come è noto, l’obiettivo di far emergere dalla prova elettorale una maggioranza governante il più possibile omogenea. Lo fa correggendo la precedente legge elettorale Calderoli del 2005, per quanto riguarda gli attori in campo (liste e non coalizioni), i caratteri della contesa (collegi più piccoli, liste corte e parziale possibilità di attribuire preferenze, ma non ai capilista), le soglie di sbarramento (il 3% a livello nazionale), il premio di maggioranza (il 54% dei seggi, che viene attribuito in un secondo turno di ballottaggio nazionale se al primo turno nessuna lista raggiunge il 40% dei voti).

Non si tratta di una legge eversiva della Costituzione, ma questo non cancella le sue serie e talora preoccupanti criticità. C’è il problema della selezione dei candidati. Non credo che le preferenze siano di per sé la panacea di tutti i mali: certo che escludere il capolista dalle preferenze, a tacer d’altro, rende quasi automatico che i partiti medio-piccoli, in presenza di collegi ristretti, siano rappresentati solo da candidati non preferenziabili.

La criticità a mio avviso più allarmante sta nell’«automatismo della premialità». Anche i sistemi elettorali drasticamente maggioritari (come quello inglese), pur rifiutando l’equazione «tanti voti – tanti seggi» (alla base dei sistemi di tipo proporzionale), favoriscono ma non rendono automatica, cioè «a qualsiasi costo», l’emersione di una maggioranza dalla contesa elettorale (ciò infatti non si verificò, nella passata legislatura, in Inghilterra). Mi si potrebbe replicare che questo è il loro limite, il non essere a tutto tondo majority-assuring («a maggioranza garantita»). Risponderei invece che questo mi pare un loro pregio. Pur mirando a «costruire» una maggioranza di governo, i sistemi appunto maggioritari non si spingono tanto avanti da imporla ciecamente. Operano quindi una «ricostruzione» della rappresentanza che però non spezza totalmente il nesso – appunto rappresentativo – tra quota del consenso e composizione dell’assemblea. Comportano altri rischi (se in tutti i collegi uninominali vincesse il candidato di uno stesso colore politico non ci sarebbe spazio per le opposizioni ma proprio la compresenza di tanti collegi impedisce che ciò accada), rischi che l’Italicum non presenta (il premio di maggioranza si ferma al 54% dei seggi), ma non irrigidiscono a priori il risultato finale.

Nell’Italicum le cose stanno diversamente, almeno in relazione al ballottaggio. Infatti, al primo turno, per ottenere il premio occorre conseguire almeno il 40% dei voti e si tratta di un consenso alto – ma non facile da conseguire! – che può giustificare il premio previsto. Ma le cose cambiano per il ballottaggio, che parrebbe profilarsi come l’evenienza più frequente. In tal caso la lista vincente, qualsiasi consenso abbia conseguito al primo turno, si prende una quota fissa, determinata fin dall’inizio, di seggi, senza che nemmeno sia prevista, al ballottaggio, alcuna percentuale di partecipazione. Per cui, ad esempio, dopo aver conseguito al primo turno il 20% dei voti, una data lista, vincitrice al secondo turno, ma con una partecipazione elettorale intorno al 40%, otterrebbe comunque la quota fissa del premio di maggioranza. Se è comprensibile, anzi apprezzabile, preoccuparsi di prospettare sistemi elettorali che aiutino a costruire maggioranze di governo, una forzatura eccessiva può condurre a risultati paradossali e delegittimanti per l’intero sistema.

È stato proposto almeno di introdurre una soglia di partecipazione per la validità del ballottaggio. Si replica che nei ballottaggi di collegio propri delle elezioni legislative, come ad esempio in Francia, questa soglia non è prevista. Ma una cosa sono tanti ballottaggi in tanti collegi, altra cosa è «il» ballottaggio, per antonomasia, che decide la futura maggioranza parlamentare nel suo insieme. Una soglia di validità (non troppo alta, altrimenti le opposizioni potrebbero optare per una strategia analoga a quella referendaria: «state a casa», per evitare lo scatto del premio) potrebbe essere un correttivo utile.

Nell’impossibilità, purtroppo, di trovare un accordo sulla scelta di sistemi elettorali a mio avviso preferibili e più collaudati (quali il doppio turno francese o il Mattarellum, con eventuali adattamenti alla situazione attuale), alcune correzioni all’Italicum sarebbero davvero auspicabili, anche se ormai è quasi impossibile che ciò avvenga.

Foto “Palazzo Montecitorio Rom 2009” di Manfred HeydeOpera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.