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Nuova stagione ecumenica

In vista della visita di Papa Francesco alla Chiesa valdese di Torino, il prossimo 22 giugno, abbiamo intervistato il cardinale Walter Kasper, già presidente (2001-2010) del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

A luglio dell’anno scorso il Pontefice ha incontrato in forma privata il pastore pentecostale Giovanni Traettino; il 22 giugno incontrerà in forma ufficiale la Chiesa Valdese. Secondo lei si tratta nel primo caso di un incontro con un amico personale, e nel secondo di una visita diplomatica a una Chiesa «sorella separata», o si tratta invece – almeno in questo secondo caso – di un evento di portata storica, che apre una nuova stagione ecumenica e di riconciliazione?

«Sono convinto che entrambe le visite abbiano un significato ecumenico importante, pure se in modo diverso. Per quanto riguarda la prima, è stata la prima visita di un Papa a una comunità pentecostale e ha aperto un contatto che finora era inimmaginabile: in questo senso era una visita storica. Questo vale ancor più per la visita ufficiale alla Chiesa valdese di Torino, una chiesa storica, di origine anteriore alla Riforma e in Italia di lunga convivenza, purtroppo spesso difficile e persino ostile. Spero che la visita apra una nuova stagione ecumenica di riconciliazione, di testimonianza e di missione. Questo sarà possibile se dopo la visita seguiranno molti altri contatti a livello delle comunità e a livello teologico. Cominciamo con l’ecumenismo di vita come base e presupposto per l’ecumenismo teologico».

Nelle «Resolutiones» (1518) e successivamente nello scritto dedicato alla «Libertà del Cristiano» (1520), Lutero pone il Credente come soggetto di fronte a Dio e assume così una posizione netta e risolutiva contro il clericalismo dell’apparato ecclesiastico: «L’essere umano diventa libero nei confronti dell’autorità della Chiesa, perché Dio, e non la Chiesa, lo giudica» (S. Rostagno). Ecco, il tema del «giudizio»: Papa Francesco ha pronunciato, in un paio di occasioni, le parole: «Chi sono io per giudicare …»; in altre occasioni è andato «controcorrente» rispetto a prassi ecclesiastiche consolidate. Si tratta di una svolta nella tradizione dell’apparato ecclesiastico cattolico, in particolare in campo etico?

«Il concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes disse: «La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (n. 16). Così secondo la concezione della Chiesa cattolica l’uomo nella sua coscienza si trova immediatamente davanti a Dio. Il motto di John Henry Newman era: Cor ad cor loquitur.

La fede in ultima analisi è l’opera cioè la grazia dello Spirito Santo nel cuore dell’uomo. Questo non esclude – e su questo punto siamo, se capisco bene, d’accordo – ma include che il vangelo non sorge dall’intimità dell’uomo ma va annunziato e in questo senso mediato. L’annuncio del vangelo include i comandamenti di Dio, che vanno proposti, non imposti. Ci vogliono dunque testimoni con exousia, cioè con potere non secolare ma spirituale. Questo non ha nulla a vedere con un apparato ecclesiastico, che può e deve sistemare solo l’ordine esteriore della chiesa e prenderne cura, affinché il vangelo sia annunciato. Però esso diviene clericalismo se vuole entrare nell’intimità del cuore e frammettersi fra Dio e l’uomo. In questo senso il clericalismo – come ogni «ismo» – è uno sviluppo sbagliato e una grave malattia della chiesa. Se papa Francesco lo corregge, questa è una svolta nella scia della tradizione».

Papa Francesco ha detto: «Davanti a tante esigenze pastorali, davanti a tante richieste di uomini e donne, corriamo il rischio di spaventarci e ripiegarci su noi stessi in atteggiamento di paura e difesa. E da lì nasce la tentazione della sufficienza e del clericalismo, quel codificare la fede in regole e istruzioni, come facevano gli scribi, i farisei e i dottori della legge del tempo di Gesù». In vista del Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre il Papa esorta cardinali e vescovi: «Guardate alla realtà della tanta gente che soffre e non rimanete fermi su regole astratte». Francesco chiede dunque alla Chiesa di guardare alla sostanza superando il clericalismo. Ci pare che queste parole diano una certa credibilità a una ipotesi di svolta. Papa Francesco sta ponendo le basi per una visione rinnovata dei problemi etici e sociali con i quali la Chiesa tutta è chiamata a confrontarsi?

«Sono d’accordo se si distingue bene fra una concezione nuova e una concezione rinnovata. Penso che il Papa si muova nella pista della grande tradizione, che vuole rinnovare contro una tradizione più recente di una etica casuistica dedotta da principi astratti.

Nella Evangelii Gaudium il Papa cita Tommaso d’Aquino, che scrisse che la legge nuova è il dono dello Spirito nella fede, mentre i comandamenti, documenti ecc. sono secondari; sono importanti in quanto portano alla fede o sono conseguenze dalla fede, che in ultima analisi è una risposta personale e un incontro personale con Dio. In quest’ottica tutta l’etica di Tommaso d’Aquino è costruita sulla basi della prudenza (ovvero sapienza), che applica le norme etiche nella situazione concreta, che riguarda le circostanze, la coscienza e l’intenzione della volontà della persona. La chiesa deve discernere le situazioni personali e accompagnare i fedeli con pazienza e misericordia sul cammino della loro vita. La mia impressione è che il sinodo straordinario dell’ottobre scorso ha già accolto questa visione pastorale di Papa Francesco».

Forse la barriera più ardua da superare tra cattolici e protestanti è la diversa comprensione che essi hanno della Cena del Signore. Pensa che i tempi siano maturi perché essi possano partecipare insieme alla cena, ciascuno con la convinzione e comprensione che ne ha alla luce dell’Evangelo?

«La questione tocca un problema spinoso nell’ambito dei nostri rapporti ecumenici. Lo scandalo della separazione fra i cristiani diventa manifesto nello scandalo della non partecipazione dei cristiani separati alla Cena del Signore. Spero che possiamo dire insieme: la partecipazione alla Cena del Signore non può essere solo una partecipazione esteriore con la bocca, ma deve essere una partecipazione interiore con il cuore, cioè una partecipazione nella fede. Non sarebbe onesto fare lo stesso senza credere lo stesso.

La presenza reale di Cristo nell’eucaristia è un mistero. Non ci vuole un consenso su tutte le dettagliate questioni teologiche. Nondimeno un consenso fondamentale è necessario.

Nella chiesa cattolica è fondamentale che il sacerdote prima dalla comunione dice: «Questo è il corpo di Cristo» e il fedele che riceve la comunione risponde: «Amen», cioè: «Sì, credo!» Su questo «è» (est) c’erano controversie accese nell’epoca della Riforma anche fra i diversi gruppi ovvero le diverse chiese della Riforma (Lutero, Calvino, Zwingli). Non so esattamente dove stanno oggi i valdesi. Spero che dopo la visita del Papa possiamo conoscerci meglio e entrare in un dialogo fraterno su questi problemi».

Recentemente il Papa si è pronunciato in maniera netta contro la discriminazione delle donne in campo professionale e retributivo. Sono maturi i tempi per affrontare lo stesso tema nell’ambito ecclesiastico? È aperta la strada che porta a intravedere il sacerdozio femminile anche nella Chiesa cattolica?

«Le donne hanno i loro talenti particolari che non possono mancare alla vita della chiesa a livello parrocchiale, diocesano e della chiesa universale. Pertanto la partecipazione e cooperazione responsabile della donne alla vita della chiesa a tutti i livelli e anche al livello decisionale e direzionale è per il bene della chiesa. Abbiamo fatto molto negli ultimi decenni, ma c’è ancora molto da fare. Mi pare che nella chiesa cattolica, come in quella ortodossa, la porta alla ordinazione al sacerdozio femminile sia chiusa. Però ci sono molte responsabilità a livello direzionale che non presuppongono l’ordinazione. Facciamo dunque i passi realisticamente possibili».

Il teologo della liberazione Leonard Boff sostiene che Francesco cambierà la Chiesa cattolica: «Papa Francesco è il Papa del cambiamento (…) Francesco ha avviato la riforma del papato». Boff va oltre: «Credo che questo Papa darà l’avvio alla creazione di una «dinastia» di papi dal Terzo mondo»… Una chiesa più terzomondista dovrà però fare I conti con la teologia della liberazione…

«Karl Rahner ha detto: con il concilio Vaticano II la chiesa cattolica è diventata universale anche nel senso sociologico. Oggi circa due terzi dei cattolici vivono nell’emisfero sud, dove la chiesa cresce, mentre nell’occidente diminuisce. In questa situazione è normale ed auspicabile che un Papa venga dal sud e apporti le ricchezze della chiesa del sud globale nell’agenda della chiesa universale. Se questa diventerà una «dinastia» di Papi lo lascio al futuro.

Per quanto che riguarda la teologia della liberazione – ma è meglio parlare di diverse teologie della liberazione – un processo di ricezione degli elementi validi è in corso. L’opzione privilegiata per i poveri è già un patrimonio comune. La beatificazione dell’arcivescovo martire Oscar Romero (anche se lui stesso, in senso stretto, non era un rappresentante della teologia della liberazione) è un segnale brillante in questa direzione».

Torniamo al tema della prima domanda. Alcuni pontefici, prima di Papa Francesco, chiamavano i protestanti «fratelli separati». Lei pensa che i tempi siano maturi per chiamarci reciprocamente, seppure nella diversità, «fratelli riconciliati», pensando a una Chiesa «unita» anziché a una Chiesa «unica»? Possiamo pensare a un formale riconoscimento delle Chiese protestanti, il cui primo passo sia quello di porre fine alle scomuniche?

«Il risultato più importante del movimento ecumenico è la nostra reciproca riscoperta di cristiani e il mutuo riconoscimento come cristiani, cioè come fratelli e sorelle. Già Papa Giovanni Paolo II ha parlato non di cristiani separati ma di altri cristiani. La controversia sul problema della distinzione fra chiese e comunità ecclesiali nel frattempo si è sdrammatizzata. Possiamo dire che si tratta di chiese di diverso tipo, che hanno in comune più quanto le divide. Così abbiamo fatto enormi passi in avanti. Nondimeno rimangono ulteriori passi da fare, per esempio sulla comprensione della chiesa, dei sacramenti e del ministero nella chiesa e recentemente anche su questioni etiche. Su una già raggiunta «chiesa unita» non oso parlare. Lo scopo è la chiesa una come unità nella varietà e varietà nell’unità. Spero che la visita del Papa alla Chiesa valdese sia un coraggioso passo avanti su questa strada».

Foto Riforma