1024px-eglisevaudoiseturin-2005

Visita del papa: non stiamo in ansia

L’ormai imminente visita del Papa al tempio valdese di Torino sta suscitando, oltre che la prevedibile curiosità, anche qualche apprensione, che ritengo eccessiva. Un evento ecumenico, per piccola o grande che sia la sua portata, può suscitare simpatia o avversione, ma dovrebbe essere chiaro che non è in queste iniziative che si gioca il futuro della Chiesa o che si determina il suo stare o non stare nella fede. Non è, insomma, uno status confessionis. Un incontro, sia che porti alla luce delle convergenze inaspettate in materia teologica o ecclesiologica sia che faccia registrare invece dei passi indietro nel dialogo e nel rispetto e accoglienza reciproca, non agisce cui cardini della fede.

Il nostro essere nel mondo è certo sfidato anche dall’impatto mediatico, il quale, di fronte a un evento come quello che si annuncia sarà ovviamente forte. Da tempo le chiese evangeliche e in particolare la Chiesa valdese sono esposte alla visibilità mediatica – ma anche all’invisibilità: per anni la Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha dovuto subire penalizzazioni nella messa in onda di Protestantesimo, confinata in orari da pipistrello; benché ci fossero ampie motivazioni per rinunciare a una messa in onda tanto disagevole, i vari Consigli della Fcei e i vari suoi presidenti non hanno mai mollato, e hanno scelto di mantenere nei palinsesti Rai una finestra da cui rivolgersi a cittadini e cittadine che trovano interessante dialogare con la realtà protestante in Italia; hanno fatto bene.

La stessa esposizione la viviamo nel rapporto con gli italiani e le italiane che firmano per l’otto per mille della Chiesa valdese. Un’altra occasione sarà rappresentata dal 2017 e dall’anniversario della Riforma. Ormai sulla piazza ci siamo; sotto i riflettori anche: si può essere d’accordo o meno, ma ci siamo. Possiamo presentarci a queste occasioni tenendo presenti tre fattori.

Il primo è la capacità che le chiese (non solo valdesi, ma almeno bmv, anzi federate nella Fcei) hanno di darsi degli strumenti: una capacità che consiste nel ragionare di Bibbia e di teologia, in primo luogo (un esempio viene dalle 95 tesi elaborate dal Circolo Riforma di Milano e fatte proprie dalla locale chiesa valdese: due anni a discutere di teologia, una ricchezza che altri non hanno), e poi nel ragionare di storia, nel riflettere, con queste basi, sulla propria identità. Questo patrimonio costituisce, in un certo senso, l’armatura di cui parla la lettera agli Efesini, e permetterà di vivere senza ansia le sfide ecumeniche, mediatiche o semplicemente «mondane» genericamente intese.

Qualcuno vede dell’autoritarismo nelle scelte fatte: le nostre chiese sono tuttavia dotate di strumenti istituzionali e di una ecclesiologia che permettono di passare al vaglio ogni decisione presa. Non tutti possono vantare una tale complessa ma rigorosa strutturazione: usiamo gli strumenti che abbiamo, fino al Sinodo – questa è la seconda risorsa che individuo.

Infine: lo studio e la riflessione critica sono tipici della grande tradizione protestante a cui non rinuncerei mai, ma essi sono pur sempre strumenti «umani»; la terza e ultima risorsa è dunque quella dello Spirito, che agisce con logiche che non sempre riusciamo a capire, e che dovrebbe sostenerci in una visione meno cupa delle sfide che attendono le nostre chiese.

Foto “EgliseVaudoiseTurin-2005” by MHM55Own work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.