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Perché l’ecumenismo è attuale

L’ecumenismo, nato come risposta delle chiese cristiane alla preghiera rivolta da Gesù al Padre per l’unità dei cristiani, rappresenta anche oggi un reale fattore strategico per la qualità della vita umana futura. La ricerca di nuovi equilibri che avviene al prezzo di gravi conflitti nazionali e sociali, la diffusa perdita di riferimenti etici condivisi e la sconsiderata rapina di risorse del nostro pianeta – sempre più impoverito a vantaggio di pochi – generano emergenze che rappresentano una grave minaccia anche per le nuove generazioni. I valori cristiani, improntati al rispetto e alla solidarietà verso ogni persona, possono dare a questo scopo un contributo fondamentale; questa consapevolezza si va diffondendo fra le chiese e fra le religioni, che già da anni testimoniano unite per la pace ad Assisi, e che sempre di più sentono l’urgenza di trovare insieme le risposte giuste ai problemi connessi anche ad altre emergenze sociali e alla crisi ecologica. Un impegno espresso, per fare alcuni esempi recenti, anche dall’assemblea della Rete cristiana europea per l’ambiente (Ecen) del settembre 2014 su «Energia e cambiamenti climatici», dal vertice interreligioso sui cambiamenti climatici di New York (sempre nel settembre scorso), e dall’intervento delle chiese alla convenzione dell’Onu sul clima (Lima, dicembre 2014).

Le Chiese cristiane, dotate di una capillare diffusione sul territorio ed unite da un rapporto anche personale ai propri fedeli, possono e devono avere un ruolo importante per la diffusione di una cultura di giustizia e di pace, testimoniando così anche la loro «unità visibile», per la quale il percorso ecumenico appare ormai maturo; l’emergenza ecologica, che mette in luce la violazione di diritti umani fondamentali, costituisce inoltre un terreno sul quale è oggi possibile trovare sul piano etico e operativo significative convergenze anche con le altre fedi che si riconoscono, insieme alle chiese cristiane, nei valori della misericordia, della solidarietà e della pace.

Nonostante la crescente disaffezione alla pratica religiosa, la capacità delle Chiese di «fare cultura» – sia attraverso il rapporto con i propri fedeli, sia tramite il contesto sociale più generale – è tuttora particolarmente elevata nel mondo cattolico e in misura ancora maggiore nelle altre chiese, anche nel nostro Paese. In uno studio effettuato dalla Doxa sul tema «Religiosità e ateismo in Italia nel 2014» si legge che «quasi due terzi della popolazione (il 62%) ritiene che i dogmi e i precetti della chiesa condizionano la vita delle persone in generale. L’opinione è condivisa in particolare dai credenti non cattolici (75%). Tale condizionamento è percepito da oltre la metà della popolazione (52%) anche con riferimento alla propria vita quotidiana – e quindi dagli stessi credenti cattolici (59%), che potrebbero pertanto giudicarlo un condizionamento positivo. La percentuale più alta di risposte affermative a questa domanda è, anche in questo caso, dei credenti non cattolici (62%)». La capacità di «fare cultura» delle chiese non riguarda quindi soltanto le tematiche religiose in senso stretto, ma più in generale la mentalità e lo stile di vita personale e sociale. Non si tratta di strumentalizzare per fini politici il cristianesimo, ma semmai di dispiegarne le potenzialità come strumento di promozione culturale e di miglioramento della qualità della vita dell’umanità e del pianeta.

È giunto il tempo, per noi cristiani, di prendere posizioni concrete ed unitarie riferite alle tante emergenze che coinvolgono l‘umanità facendo un passo in più, che aggiunga al comune impegno spirituale – testimoniato con l’annuale Settimana di preghiera per l’unità – anche quello sul piano politico e sociale.

Come anche papa Francesco ha affermato, facendo espressamente riferimento al modello evangelico della «diversità riconciliata» (Oscar Cullmann), l’unione dei carismi che caratterizza ogni chiesa cristiana rappresenta, per tutti, un dono e un potenziale che non può più essere sprecato; nessuna Chiesa, da sola, è «perfetta» ma, ci dice Gesù, saranno «perfetti nell’unità» (Giov. 17,23); un’unità che ha oggi una valenza non solo religiosa, ma anche politica: un cristianesimo disunito è infatti meno credibile, mentre la convergenza visibile, tramite azioni concrete, su fattori strategici fondamentali, rappresenterebbe un importante elemento propulsivo per una più diffusa crescita spirituale e civile.

La «perdita di identità» che oggi dobbiamo temere non riguarda il rischio di una scarsa considerazione delle diversità che pure sussistono fra le nostre Chiese; dobbiamo semmai temere la perdita della comune identità cristiana; un’identità che l’azione comune fra Chiese diverse può invece farci riscoprire e rinsaldare. Un impegno sostenuto e orientato dai quei valori testimoniati da Gesù che, sovvertendo la legge del più forte, si è preso cura del più debole affinché potesse essere riconosciuto, rispettato ed amato. 

Foto “Taizé prayer” by Damir Jelic – Own work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.