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Quello che il cinema può fare

I dieci giorni del Festival del Cinema di Cannes si vivono a un ritmo forsennato. Oltre alle proiezioni e gli eventi, un luogo di particolare fermento è il mercato del film: il posto in cui le nazionalità si mescolano e si fanno conoscere, dove sono presenti gli enti che finanziano la cultura nei vari paesi e dove si vendono e si acquistano le produzioni. Anche qui è presente lo stand della giuria ecumenica che partecipa alla vita del festival dal 1974. Il pastore Paolo Morlacchetti da otto anni partecipa al festival del cinema come membro del comitato di accoglienza, compito affidato alla comunità cattolica e a quella protestante di Cannes.

Cosa significa accogliere la giuria ecumenica?

«In primo luogo per noi, comunità protestante di Cannes, significa mettere a disposizione i nostri spazi: nei locali del tempio, ogni anno c’è la postazione informatica del sito internet della giuria ecumenica. Un luogo nel quale i tecnici aggiornano in tempo reale il sito e dove lavorano i redattori: si tratta di cinefili cristiani che fanno parte dell’associazione protestante Profil, Interfilm o dell’associazione cattolica Signis. Loro vedono i film e li recensiscono immediatamente, poi l’articolo viene pubblicato sul sito della giuria ecumenica. Si possono quindi seguire in tempo reale le cronache, le foto e le recensioni. La giuria ha anche un fotografo ufficiale che partecipa a tutti i photocall del festival, che siano momenti di red carpet o insieme alle troupe dei film. Sul sito ci sono sempre le foto aggiornate e gli eventi che sono organizzati dalla giuria».

Qual è il senso di avere una giuria ecumenica a un festival del cinema internazionale?

«Più il tempo passa e più credo che questa giuria ecumenica sia importante. Soprattutto per i cristiani, perché è un luogo, uno spazio, un tempo nel quale dei credenti entrano in dialogo con la società e in particolare con il mondo del cinema. Il fatto che ci sia una giuria ecumenica a Cannes è un po’ il segno che i credenti sono chiamati a essere in relazione con la società, e in particolare con il mondo culturale e artistico, ed è uno spazio nel quale noi possiamo incontrare delle persone che vengono da luoghi, orizzonti, culture molto differenti. E poi il cinema è sempre stato un’occasione di dialogo, di discussione, di riflessione in seno alle chiese. Basti pensare all’importanza che la chiesa cattolica ha dato fin dall’inizio al cinema: in ogni paese europeo ci sono delle reti di cinema parrocchiali. Anche per i protestanti è importante, sebbene abbiano un po’ più di difficoltà con l’immagine, il film è uno strumento sempre più utilizzato dalle comunità per animare momenti di confronto.

C’è una rete di cinefili cristiani strutturata e organizzata, c’è una vita comunitaria che si sviluppa attorno al cinema nelle comunità. Per fare un esempio, nella mia città, dove esiste un cineforum ecumenico organizzato da cattolici e protestanti, il fatto che ci siano delle giurie in diversi festival che danno dei premi e argomentano le ragioni delle loro scelte ci permette di veder dei film che siano adatti a dei dibattiti. La presenza della giuria è importante sia come mezzo di apertura verso l’esterno, sia per trovare delle risorse interne e far lavorare le chiese sul film. Anche perché il cinema, come altre forme artistiche, è il riflesso dei dibattiti della società».

In questo senso, cosa è emerso da questo festival?

«Quest’anno nell’insieme dei film presentati, in particolare nella selezione ufficiale, ho potuto constatare il bisogno di riflettere e di evocare le difficoltà delle relazioni umane, quelle famigliari e e di coppia. Penso a vari film, come The Lobster, Carol, Youth, Mia madre, La Vallée de l’amour: sono lavori che approfondiscono il tema della difficoltà nelle relazioni umane. In ogni festival, qualunque esso sia, c’è sempre un filo conduttore che dialoga con le questioni di attualità. È una risorsa importante per le chiese riuscire a comprendere l’evoluzione della società e i dibattiti che la animano. Quest’anno era anche evidente una dimensione internazionale: il film che ha vinto la palma d’oro è un film francese ma che parla della storia di un immigrato, delle sue difficoltà nel suo paese e nell’arrivare in Francia. I festival in generale sono dei luoghi privilegiati per poter incontrare il mondo intero».

Come sappiamo il premio della giuria ecumenica è andato al film di Nanni Moretti, Mia madre

«Quest’anno le argomentazioni del premio sono state abbastanza essenziali. La scelta della giuria è stata motivata dal fatto che Moretti ha sviluppato una ricerca fine ed elegante, caratterizzata da un certo senso dell’umorismo, di alcuni temi essenziali, in particolare quelli dei differenti lutti con i quali la nostra vita può confrontarci. Mia madre è la storia di una regista, interpretata da Margherita Buy, che sta girando il suo nuovo film con un attore americano, John Turturro. Mentre gira il film vive al tempo stesso una separazione sentimentale, il primo lutto che deve elaborare, e anche l’accompagnamento degli ultimi giorni di vita di sua madre. Questo contesto generale dà l’occasione alla protagonista di confrontarsi con la propria identità e col suo modo di gestire e vivere le relazioni umane. È un film che parla delle grandi difficoltà della vita, in particolare di quelle difficoltà che ci fanno frequentare l’idea di morte e che ci mettono nella condizione di riflettere su di noi, sul nostro passato ed eventualmente anche sul nostro futuro. Il film di Moretti ha come punto di partenza una storia forte e difficile, che però viene attraversata con una certa leggerezza e con una alternanza costante tra sensibilità, profondità, e umorismo, grazie soprattutto all’interpretazione di John Turturro. Queste sono le ragioni del premio».

Motivazioni un po’ generali…

«Per la giuria ecumenica uno dei criteri importanti di assegnazione è il fatto che il film possa aprire alla speranza. Ci sono film molto belli ma che precludono a questo sentimento. Per esempio anni fa era stato dato il premio a This must be the place di Sorrentino, ed è stata un’attribuzione abbastanza controversa dato che la storia non si conclude con un perdono ma con un atto di vendetta. In quell’occasione il premio della giuria ecumenica era stato criticato perché, nonostante fosse un bel film, non si percepisce la dimensione della speranza. Il film Mia madre invece apre a questa dimensione non solo nel suo sviluppo, ma anche per la conclusione, per questo si presta benissimo a ricevere il premio».

Foto: « Croisette 2007 » par I, Bledard92. Sous licence CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.