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Le “nostre” 95 tesi

(Desideriamo essere portatori, dentro il dinamismo della storia, di un’etica di libertà e di responsabilità biblicamente fondata. Partecipando, in prima persona, alla costruzione del «bene della città» (Geremia 29,7),  come concreta espressione della fede in Cristo che Dio ha suscitato nella nostra vita.

(Dalla Premessa alle 95 tesi del «Circolo Riforma»)

Premessa

Tutto nacque nel lontano 31 ottobre 1517, presso la giovane università di Wittenberg, quando un suo brillante docente, il monaco agostiniano poco più che trentenne Martin Lutero affisse, sul portone della chiesa del castello, 95 tesi riguardanti la questione delle indulgenze e della loro reale efficacia. Tale manifesto – come si sa – scatenò una discussione che scosse fin dalle fondamenta il cristianesimo europeo. Non è dunque un caso se si usa simbolicamente indicare la data del 31 Ottobre come l’inizio della Riforma protestante.

In tempi a noi più vicini, nel 1994, il teologo americano anglicano Matthew Fox ha provato pure lui a condensare in 95 tesi la sua ricca, lunga e controversa esperienza di teologo. Lo abbiamo scoperto nel corso di un dibattito promosso, nell’ottobre del 2013, dal Centro Culturale Protestante di Milano; al che ci siamo detti: «Ma perché non proviamo anche noi scrivere oggi le “nostre” 95 tesi?»

Discuti e ridiscuti, nell’ambito del «Circolo Riforma» della chiesa valdese di Milano, abbiamo cominciato a delineare alcune aree tematiche. Quindi abbiamo invitato la nostra comunità valdese a inviarci per iscritto sintetiche riflessioni intorno alle aree tematiche proposte.

È stata un’interessante esercitazione collettiva.  Ci sono pervenuti poco più di una quarantina di brevi pensieri, riflessioni, commenti che abbiamo con interesse accolto e risistemato, per aggiungere poi altre riflessioni, elaborate questa volta da un sottogruppo del Circolo Riforma, in modo da arrivare effettivamente a 95 tesi, raccolte in 11 aree tematiche.

L’ultimo passaggio della bozza è stato poi trasmesso al Concistoro. E qui non ci sono state risparmiate critiche, al punto che il nostro sottogruppo del Circolo Riforma (trovate i loro nomi in calce) ha risistemato tutta la materia, facendo anche un notevole lavoro di riscrittura e ricollocazione dei testi.

Per farla breve – dopo tutti questi passaggi, che complessivamente ci hanno occupato per quasi due anni – le 95 tesi del Circolo Riforma  della Chiesa valdese di Milano sono ora pronte.

Abbiamo quindi deciso di rendere pubblico, a disposizione di tutti, questo nostro documento. Le tesi sono dunque in mano vostra per essere discusse, lette, meditate. Accolte o rifiutate.

Intendiamoci: la nostra non vuole (e non ha mai voluto) presentarsi come  un’opera definitiva. È semplicemente l’istantanea di come oggi molti di noi la pensano, all’interno della Chiesa valdese di Milano, su argomenti di primaria importanza. Nulla vieta che tra un po’ di tempo le potremmo riformulare in alcuni punti, o meglio precisare. Non vagheggiamo nessuna pretesa di completezza. Ci ha spinto solo una passione teologica per la testimonianza al Signore, nel dialogo con la sua Parola e rimanendo sulla pubblica piazza. Ci è parso importante provare a dire in prima persona, con il nostro linguaggio, come ragioniamo in materia di fede intorno ai grandi temi del nostro tempo. E questo perché desideriamo essere portatori, dentro il dinamismo della storia, di un’etica di libertà e di responsabilità biblicamente fondata. Partecipando, in prima persona, alla costruzione del «bene della città» (Geremia 29,7), come concreta espressione della fede in Cristo che Dio ha suscitato nella nostra vita. Dalla lettura delle tesi affiorano, pur nella loro sinteticità, una pluralità di espressioni e stili letterari che abbiamo volutamente mantenuto proprio perché frutto di un lavoro cresciuto «dal basso». Ma a cosa serve, in definitiva, questo curioso documento? Potrebbe servire per dire a noi stessi, a chi ci è vicino, a chi non ci conosce ancora, chi siamo, in cosa speriamo, come agisce nel nostro quotidiano la Parola di Dio, la fede, l’essere chiesa, l’evangelo. Non è poco.

Buona lettura, buone riflessioni. Milano 10 maggio 2015.

TEMA n.1

La grazia di Dio non è mercificabile, la gratuità del perdono dei peccati ha comunque un costo

1) Nel nostro mondo globale tutto è in vendita. Dio però non è acquistabile. La relazione che Dio stabilisce con noi è gratuita. Il nostro agire, per quanto buono possa essere, non può tendere a conquistare Dio.

2) Dio, in Cristo, prende su di sé le nostre contraddizioni e difficoltà. Liberandoci dai pesi che ci opprimono, la nostra vita cambia. Possiamo così liberamente esprimere, con pensieri e azioni, tutta la nostra gratitudine a Colui che ci perdona.

3) Il perdono di Dio ci spinge nel nostro piccolo a creare una rete di bene attorno a noi ed è lo stimolo a interrogarci sempre sulle nostre azioni e a interpretare la realtà.

4) Essere perdonati significa imparare ad assumerci le nostre responsabilità. Il Dio della Bibbia è un Dio di libertà: ci ha creati liberi di decidere fra bene e male… e qui possiamo scegliere il nostro ruolo verso Dio, verso noi stessi, verso il prossimo, verso il creato. 

5) La vita di ogni essere umano può essere segnata dall’incontro con Dio. Ciascuno può trovare sul suo percorso le sfide della Parola di Dio, come Giacobbe che quella notte lottò con l’Angelo. Riconoscere la nostra condizione di creature di  fronte  al Creatore rappresenta un costo enorme per il nostro orgoglio e il nostro senso di autosufficienza.

6) La gratuità del perdono dei peccati reclama la ricerca quotidiana dell’affidamento alla Parola del Padre, come Gesù l’ha insegnata. «Osate le vie nuove / andate nell’età» dice l’inno, «Dio vuol che siate prove /quaggiù di sua bontà». La via tracciata da Gesù è diversa per ognuno perché ogni vita è diversa; ma è anche uguale per tutti, perché la salvezza di Dio è universale.

7) Il “costo”, che scopriamo di dover “pagare” di fronte all’annuncio della salvezza di Dio, si manifesta innanzitutto sotto forma di commozione gioiosa per aver ricevuto il dono gratuito e immeritato del perdono. Ma commuoversi fin nel profondo di noi stessi significa sentire, intimamente, il desiderio della restituzione, della gratitudine.

8) Questa gratitudine sorgerà in noi tanto più ovvia e spontanea quanto più intensa sarà stata la nostra commozione. La commozione ci libera dal percepire il nostro impegno nella vita di fede come un “peso”, come un “dovere” da compiere di malavoglia.

9) Se è davvero profonda e di conseguenza commossa, la comprensione del perdono di Dio trasforma in libertà gioiosa e spontanea la responsabilità del nostro agire come credenti chiamati ad annunciare il regno di Dio e a praticare la giustizia in nome di Dio.

10) La gratuità del perdono dei peccati significa che Dio ci dona la possibilità di uscire da una logica della retribuzione, dello scambio, del dare/avere, per entrare in una libera economia del dono, del puro amore in cambio di nulla.

11) Allora cerchiamo di ricevere la gratuità della Grazia con un atteggiamento umile ma, al contempo, fortemente autocritico. La giustificazione che Dio offre ci riabilita (ci rende giusti, seppur peccatori ai Suoi occhi) e ci ri-abilita (ci rende capaci di fare, pur nei nostri limiti, qualcosa di buono e di giusto).

12) Avere ricevuto il dono del perdono ci permette a nostra volta di perdonare gli altri senza vederli come controparti, bensì come possibili portatori di doni gratuiti per noi. La salvezza di Dio ci apre la via a rapporti liberi dal tornaconto personale, fondati sulla gratuità del dono offerto e ricevuto.

13) La gratuità del perdono non ci esime dall’impegno, ci rende capaci di agire. E in questo rimaniamo consapevoli dei nostri limiti e della nostra nullità: la gratuità del perdono non cancella la consapevolezza che le nostre azioni sono una goccia d’acqua nel mare.

14) La nostra chiesa assume come tema centrale il concetto di Sola gratia, nella convinzione che non noi, ma solo Dio agisce per la nostra salvezza.

15) La coscienza dei propri errori e l’incapacità a porvi freno necessitano di un pentimento consapevole e di una volontà di autentico cambiamento (metanoia).

16) Il prezzo del perdono è la continua consapevolezza dell’inadeguatezza della nostra vita rispetto all’infinito amore di Dio e della provvisorietà delle nostre realizzazioni.

TEMA n.2

Come umani siamo parte del creato, un creato che soffre ed è in travaglio

17) Dopo il diluvio, Dio ha annunciato che: «Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno mai». (Genesi 8,22). Con lo sfruttamento indiscriminato di terre e mari entriamo quotidianamente in conflitto con la promessa del Signore, rischiando di accorciare irrimediabilmente la durata temporale del Suo “finché”. Come creature di Dio, in attesa di «nuovi cieli e nuova terra» (Apocalisse 21,1), dobbiamo adoperarci costantemente affinché quelli attuali non siano distrutti dalla nostra avidità e dal nostro egoismo.

18) “Custodire” il creato significa non abusarne. Il nostro benessere dipende dal benessere della terra: impariamo a rispettarla.

19) La constatazione della bellezza e della complessità del creato ci racconta da sempre della sua origine divina e la necessità, oggi come non mai evidente, di non considerarlo una merce consumabile.

20) Abbiamo ereditato gratuitamente il creato con l’impegno di mantenerlo, conviverci e crescere con esso. Con quale autorità ci comportiamo come fosse cosa nostra e lo distruggiamo? Leggiamo nella Bibbia che “il capolavoro di Dio” non è l’essere umano, ma l’ippopotamo (Giobbe 40,19). Impariamo dunque a guardare la natura, anche quando essa ci appare più selvaggia e apparentemente inutile, con ringraziamento e rispetto verso il suo Creatore.

21) Chiediamo a Dio di benedire ogni sforzo e ogni ricerca che mira a ricomporre l’amore e la bellezza della Sua creazione.

22) Siamo chiamati a custodire e proteggere il Creato intero come un giardino stupendo che Dio ci ha affidato. Ciò significa che siamo chiamati a onorare, amare, proteggere la Terra intera, così come siamo chiamati a “onorare padre e madre”. Noi infatti veniamo non solo dai nostri genitori, ma siamo anche venuti dalla Terra («Dio il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra», Genesi 2,7). Solo “onorando” (cioè curando, custodendo) la Terra intera che Dio ci ha dato, noi potremo vivere a lungo su di essa (Esodo 20,12).

23) La creazione «geme ed è in travaglio» (Romani 8,22) perché noi siamo usi a sfruttarla, saccheggiarla: abbiamo diviso, frammentato la Terra, riducendola a un insieme di territori in nostro possesso, separati da muri e barriere. Oggi siamo chiamati a identificarci non più con il nostro territorio, con la nostra porzione di terra, bensì con la Terra intera. Dobbiamo percepire, cioè, la totalità della Terra, la natura tutta, come il giardino vivente che abbiamo trascurato, spogliato e che oggi invoca più che mai la nostra cura. 

24) Siamo «dentro» la creazione, non «fuori». Il nostro comportamento ha sempre delle conseguenze, positive o negative, sull’ambiente che ci circonda. Credere in Dio significa anche riflettere sul nostro agire, che deve rispettare l’intera creazione e non solo il genere umano.

25) Con i piedi saldamente piantati in questa terra spesso devastata, sfruttata, parcellizzata, inquinata, noi viviamo in attesa “dei nuovi cieli e della nuova terra”. La ricomposizione dell’intera creazione da parte di Dio ci invita ad anticipare quel perduto equilibrio tra umanità e natura.

26) Il creato è un’unità di cui l’uomo e la donna sono uno degli anelli e la salvezza è promessa al creato intero, nel suo insieme: una visione che spesso affiora nei Salmi.

27) Fin da bambini possiamo avere la percezione che il creato “ci faccia compagnia”; ma è l’esperienza del divenire madre a farci percepire che il creato chiede anche protezione. Infatti, il figlio che la madre porta in grembo ha bisogno di aria, acqua, cibo, serenità, bellezza, amore. La madre scopre così di essere per lui la sua “natura buona”, che lo metterà al mondo. Tuttavia noi rinneghiamo tale esperienza primordiale e universale di intima comunione con il creato, saccheggiando, sporcando, occupando la natura. E solo pensando che Dio metterà riparo ai nostri danni, possiamo consolarci, ritrovare la speranza, rimetterci ad agire, per conservare e riparare insieme a Lui il creato stesso.

TEMA n.3

L’impegno cristiano per la giustizia nelle e oltre le leggi umane

28) La Scrittura identifica la giustizia con ciò che è conforme alla volontà di Dio. I credenti hanno il compito di rivendicare instancabilmente l’esigenza di una vera giustizia tra gli uomini, co-abitatori di un mondo sempre più ingiusto. Può accadere che le leggi umane vengano a trovarsi in conflitto con la giustizia di Dio, ma esse non possono che rimanere secondarie e subordinate rispetto a ciò che Dio, attraverso l’incarnazione di suo Figlio, ha indicato come giustizia.

29) La Parola di Dio ci chiama a interpretare la storia umana e a intervenire, qui e ora, ponendoci sempre e prima di tutto dal punto di vista delle vittime, dei perdenti, cioè dal punto di vista della Croce, quale evento supremo della misericordia di Dio per noi.

30) L’impegno per la giustizia quindi non può mai essere disgiunto dall’amore per la misericordia, in un cammino di umiltà e di riconoscenza accanto a Dio (Michea 6,8). La Croce e la Risurrezione di Cristo ci insegnano che la pratica della giustizia non si esaurisce con la promulgazione di leggi giuste, portatrici di pace e libertà, nel rispetto per la dignità umana e per la vita intera sulla terra. Al di là delle leggi umane tutti noi siamo chiamati personalmente a una pratica di giustizia in un orizzonte di misericordia, capace di riconoscere nel volto dell’altro il volto di Dio.

31) Come credenti ci impegniamo affinché la giustizia umana non produca inutili sofferenze e la sua applicazione non trascuri il rispetto della dignità di ognuno.

32) La giustizia terrena è necessaria per regolare i rapporti fra gli uomini: combattere l’ingiustizia (e le degenerazioni della giustizia) significa compiere un cammino verso la pace.

33) «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Marco 12,17). Naturalmente il problema è di sapere dove si trova (o dove noi mettiamo) la linea di confine. La Storia dimostra che questa distinzione indicata da Gesù è stata troppo spesso strumentalizzata con conseguenze disastrose.

34) Come la vedova della parabola (Luca 18,1-8) dobbiamo continuare, senza stancarci, a sollecitare chiunque abbia potere affinché agisca per la giustizia. Ogni giustizia umana è sempre imperfetta e perfettibile. La Parola di Dio ci spinge a operare affinché comportamenti e strutture d’ingiustizia non si perpetuino e non si consolidino.

35) Occorre riscoprire il vero spirito di giustizia e impegnarsi per attuarlo, anche contro i nostri stessi interessi. La giustizia che possiamo praticare come cristiani consiste anche nel tentare di capovolgere i meccanismi che generano l’ineguaglianza, la prevaricazione e l’emarginazione.

36) Giustizia divina e giustizia umana negli scritti biblici si fronteggiano continuamente. Dio ha una grande passione per la giustizia e in Cristo – il giusto morto sulla croce – vuole coinvolgerci profondamente. La fede in Cristo ci invita a far nostro questo progetto.

37) Dio ci rende giusti malgrado i nostri inevitabili errori, liberandoci dalla preoccupazione di doverci salvare con le nostre stesse mani. La giustizia di Dio non tende a distruggere la persona che ha sbagliato, ma a rinnovarla e a responsabilizzarla. Il dono della giustificazione per grazia mediante la fede accende nella vita quotidiana del credente il desiderio di giustizia non solo per sé, ma anche per gli altri.

TEMA n.4

Il rapporto con la verità degli altri

38) Siamo chiamati, come chiese e come singoli credenti, ad ascoltare e a capire profondamente le “verità degli altri” fino a sentirle risuonare intimamente in noi. Infatti nella verità altrui può sempre nascondersi un’implicita, sottaciuta verità evangelica: una verità per noi, che ci interpella come cristiani.

39) Comprendere le “verità degli altri” ci permette quindi di guardare alla verità dell’Evangelo ponendoci dal punto di vista degli altri. Potremo scoprire così dell’Evangelo un frammento inespresso di verità che prima ci era sfuggito, proprio perché continuavamo a guardare l’Evangelo solo dal nostro punto di vista.

40) La verità per gli uomini e le donne è un’aspirazione, una tensione esistenziale che dovrebbe tradursi in un cammino di ricerca e confronto con gli altri, di rispetto e ascolto. La verità per i cristiani è una tensione teologica, che non dovrebbe tradursi in imposizioni e chiusure, ma rimanere aperta a una continua interrogazione.

41) Gesù è stato un uomo in ascolto senza pregiudizi, in ricerca e aperto al dialogo. Anche noi, come suoi discepoli, siamo chiamati ad essere disponibili ad imparare da tutti, a «esaminare ogni cosa e ritenere il bene» (I Tessalonicesi 5,21).

42) La ricerca della verità è un percorso complesso che non permette facili scorciatoie. Ci rendiamo conto che la nostra ricerca di verità e quella degli altri potrebbero essere tentativi di arrivare allo stesso fine seguendo percorsi diversi e talvolta divergenti. Nel momento in cui la mia verità incontra quella degli altri, si apre la possibilità di un confronto fecondo.

43) Come cristiani, per fedeltà all’unico Evangelo, solchiamo il mare quali barche con la vela dispiegata a ricevere il vento dello Spirito che «soffia dove vuole» (Giovanni 3,8).

44) La fede è altro rispetto al presunto possesso della verità. Né noi, né gli altri possiamo credere di gestire la verità. Il perno dei rapporti fra le nostre visioni e quelle altrui è costituito dal reciproco ascolto; e l’ascolto si accompagna e si costruisce anche con il silenzio verbale che permette l’affiorare di diverse modalità di comunicazione meno rigide delle parole, apparentemente precise.

45) Nella fede pensiamo che la persona di Cristo e il suo insegnamento siano la verità ultima sulla nostra vita. Ad essa noi tendiamo nella ricerca delle verità penultime, pure loro necessarie per vivere, e presenti nelle più diverse situazioni sociali e culturali. Come testimoni della verità in cui crediamo, siamo anche aperti al confronto con altre verità credute e testimoniate per arricchire spiritualmente e culturalmente la nostra vita. Non possediamo la verità ultima ma ne siamo posseduti.

46) La volontà di Dio si realizza anche attraverso persone che ignorano di essere uno strumento nelle Sue mani. Dobbiamo impegnarci affinché tutte le persone che operano per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato collaborino, a prescindere da ideologie e preconcetti.

47) La verità di Dio, in cui soffia lo Spirito e confessata in modi diversi dalle chiese nel mondo, ci apre all’unità dei cristiani secondo l’invito di Cristo (Giovanni, 17,21). L’unità dei cristiani acquista il suo vero senso nel più ampio orizzonte di unità dell’umanità intera.

TEMA n.5

Fede e scienza: quale rapporto?

48) Le straordinarie e ininterrotte nuove conoscenze della scienza ci permettono di capire, o almeno di intuire, quanto sia incommensurabile, stupefacente l’ordine del cosmo, la sua perfezione. E proprio l’immensità inimmaginabile del cosmo ci aiuta, per differenza, a interrogarci sull’immensità di Dio e, quindi, sul senso della sua esistenza.

49) I traguardi della scienza non ci allontanano da Dio, ma ci aiutano a porre in modo più profondo l’interrogativo su chi è Dio per noi. Allo stesso modo le ricerche storiche, condotte in modo scientifico, sul mondo di Gesù e dell’antico Israele non ci devono disorientare, come se potessero minare i fondamenti della nostra fede.

50) Tali ricerche storiche ci permettono di comprendere ancora meglio – su un piano che, proprio in quanto scientifico, accomuna credenti e non credenti – chi fosse Gesù e come sia nata la fede di Israele. La scienza storica, quindi, può essere d’aiuto non per incrinare ma per ragionare a tutto campo sui fondamenti della nostra fede.

51) Fede e scienza sono due categorie non assimilabili, non sono in competizione, utilizzano linguaggi diversi. La fede cristiana, alla luce della resurrezione di Cristo, apre alla speranza della vera Vita, la scienza è conoscenza del mondo finito. L’esistenza o l’inesistenza di Dio non possono essere provate scientificamente, ma fede e scienza possono operare per una trasformazione positiva del mondo.

52) La scienza studia il meccanismo della vita, la fede dona un senso alla vita: entrambe sono chiamate alla responsabilità verso l’umanità e il mondo.

53) Fede e scienza si inscrivono in differenti schemi di pensiero, ma non per questo vanno rigidamente contrapposte, anzi sono chiamate ad un reciproco ascolto.

54) Bisogna riscoprire la «pazzia della croce» (I Corinzi 1,18), anteponendola alla pretesa che le verità scientifiche e tecnologiche misurabili possano imporsi come nuova forma di assoluto.

55) Le categorie bibliche del Sabato (Esodo 31,15) e del Giubileo (Levitico 25,11) – cioè del limite volontario, del fermarsi per scelta, del ricreare la ciclicità dopo un tempo lineare – sono auspicabili anche nell’esercizio della scienza: nel tempo sospeso ritornano l’unità e l’equilibrio del creato spesso manomessi da un uso distorto della scienza e della tecnologia.

56) Siamo chiamati a vigilare affinché i risultati della tecnologia e della scienza non illudano l’umanità, come la torre di Babele, prospettando un’onnipotenza impossibile e allontanandola dal pensiero di Dio e dal dialogo con Lui nella preghiera.

57) La scienza è al servizio dell’umanità e siamo riconoscenti per gli innumerevoli traguardi che ha raggiunto migliorando le condizioni generali di vita. Protestiamo quando prevale un uso disumano e iniquo della scienza.

58) Accogliamo con gioia le tecnologie della comunicazione che annullano le distanze e consentono di collegare tra loro persone diverse e disperse. Ma c’è anche il rischio di nuove forme di dipendenza e solitudine: siamo connessi con la rete, ma isolati dalle persone che ci circondano. L’illusione dell’anonimato spinge a comportamenti narcisisti e aggressivi. Diventa troppo facile frequentare solo coloro che condividono i nostri gusti e le nostre opinioni. Il contatto virtuale non può sostituire la comunicazione faccia a faccia, anche nella sua fisicità e nelle sue difficoltà.

TEMA n.6

Le arti, la poesia, il sogno come espressione di una fede che esprima la gioia di vivere

59) La poesia è un ponte, parla una lingua universale e appartiene a ogni tradizione, a ogni epoca. La Bibbia è poesia, i suoi libri, nessuno escluso, parlano una lingua la cui profondità è illuminata dallo Spirito di Dio.

60) La creazione di Dio non è solo “buona” ma anche “bella”. Di conseguenza la meraviglia estetica, il godimento artistico fanno parte di un cammino di fede. La Scrittura custodisce in sé una dimensione artistica, poetica, creativa, visionaria, che arricchisce l’intera nostra vita. Siamo invitati a leggere, ascoltare, raccontare, descrivere, annunciare la Scrittura abbandonandoci alla sua straordinaria bellezza.

61) Il linguaggio dell’arte, della poesia, della musica può aiutarci a esprimere la nostra fede. E quindi siamo chiamati a farci a nostra volta “artisti” della Parola di Dio, “esecutori” della sua “musica”.

62) Siamo ancora capaci di vedere bellezza e armonia? La nostra testimonianza non sia solo legata all’etica del “questo è bene / questo è male”, ma sia sensibile e disponibile a cogliere la dimensione estetica.

63) Spesso le espressioni artistiche dell’essere umano nascono da un’esigenza di confrontarsi con la grandiosa opera del creato e, non di rado, come manifestazione della gratitudine per questo dono.

64) Da sempre la fede ha ispirato la creatività di molti artisti, diventando manifestazione della loro spiritualità. La contemplazione, l’ascolto, la riflessione su un’opera d’arte alimentano la ricerca sul senso della nostra esistenza.  

65) Tutta la Bibbia è attraversata da stupende narrazioni, espressioni poetiche, visioni, che hanno stimolato, nel corso dei secoli, artisti a tradurre in manufatti i contenuti di tante pagine bibliche. Impossibile comprendere la storia dell’arte in Europa, senza tenere conto dell’influenza che le narrazioni bibliche hanno esercitato, nel corso dei secoli.

66) La Riforma ci ha insegnato a vedere, in quelle opere d’arte che fanno riferimento al messaggio biblico e alla fede della chiesa, “mezzi” e non “fini”. Solo Dio è sacro, le opere d’arte che esprimono la fede possono avere un valore pedagogico/didattico nell’invitarci alla riflessione personale.

67) In ogni caso, immagini od opere d’arte a carattere religioso non sono da venerare, non meritano un culto particolare. Sulle espressioni artistiche nell’ambito della fede vale il principio biblico del decalogo mosaico: «Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo… non ti prostrare davanti a loro e non li servire» (Esodo 20,4-5).

68) Noi riconosciamo che qualunque definizione di Dio è incompleta e imprecisa, non solo per la dimensione totalmente “altra” di Dio, ma anche per i limiti del linguaggio logico-sintattico, e accettiamo i linguaggi dell’arte non per definire Dio, ma per alludere alla Sua ineffabilità e rispondere al Suo amore.

TEMA n.7

Evangelizzare, cioè ascoltare e poi annunciare la storia della salvezza

69) Quella raccontata nelle Scritture è la storia più bella del mondo e noi siamo chiamati ad ascoltarla con tutta l’anima, la mente e il cuore, per accoglierla nel profondo di noi stessi. E’ una storia che non vuole solo essere ascoltata, ma vissuta, narrata e testimoniata. La vocazione che il Signore ci rivolge è infatti quella di conoscere le Scritture per farci poi, tutti quanti, messaggeri della storia della salvezza.

70) Farci narratori della storia più bella del mondo significa diventare consapevoli dei doni che ciascuno ha ricevuto. E’ con la totalità di noi stessi che il Signore ci incalza ad andare con amore verso gli altri, per raccontare la storia della salvezza.

71) Non possiamo annunciare, raccontare bene la storia della salvezza, se non ci chiediamo ogni volta: “Con che parole, con che voce, con che sguardo, con che atteggiamento annuncerò io la Parola di Dio?”. Questa domanda non può essere delegata alle chiese, ai ministri di culto, ma deve coinvolgere ciascuno di noi in prima persona, perché tutti noi siamo chiamati a essere sacerdoti in Cristo.

72) Ognuno di noi è chiamato personalmente, ma non da solo, a mettere a disposizione degli altri i propri doni. Doni che possono crescere e vivere nella comunità dei credenti ed esprimersi compiutamente nel quadro del progetto di Dio per il mondo.

TEMA n. 8

La Chiesa è di Gesù Cristo

73) L’appartenenza a una chiesa non può essere determinata dalla razza, dall’etnia, dal colore della pelle, dalle differenze culturali o sociali, dai diversi orientamenti sessuali, ma soltanto dal riconoscersi comunità nel nome di Gesù Cristo.

74) Per essere davvero Chiesa di Gesù Cristo non è sufficiente che essa si limiti a parlare di Cristo, ma è necessario che agisca nel solco lasciato dalla sua esperienza terrena, testimoniando di come il messaggio evangelico sia sempre vicino a noi, in tutta la sua dirompente attualità e in ogni aspetto della vita.

75) Sappiamo che Dio creò l’essere umano «a sua immagine (…) li creò maschio e femmina» (Genesi 1,27). E ci viene anche annunciato che «Non c’è né maschio né femmina, perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28).  La Chiesa di Cristo è la comunità dove donne e uomini vivono la loro differenza senza ruoli precostituiti, nella libertà, nella responsabilità e nel rispetto reciproco.

76) Cristo ci chiama ad una partecipazione alla vita della chiesa che si realizza mettendo a disposizione non solo i nostri doni e ma anche le nostre risorse. Questa disponibilità nasce dalla riconoscenza che ogni membro di chiesa sente nei confronti di Dio per la vocazione ricevuta.

77) Doni e risorse che alimentano la vita della chiesa devono essere organizzati e amministrati con decoro e ordine.

78) L’indipendenza e la libertà di pensiero e di espressione della chiesa nella società hanno un costo che ogni membro è chiamato a sostenere, responsabilmente e consapevolmente sulla base delle proprie risorse.

79) I controlli (non solo in campo finanziario) sono parte essenziale e costitutiva dell’etica protestante. Calvino scriveva che «la forma di autorità maggiormente accettabile e più sicura risulta essere quella di un governo costituito da parecchie persone che si aiutino a vicenda e si ammoniscano nell’esercizio del loro compito».

80) La chiesa che vogliamo vivere, nel solco della Riforma protestante, promuove forme di organizzazione che facilitino lo scambio dei doni, la partecipazione e la solidarietà tra tutti coloro che ne fanno parte. Se la chiesa tenta di vivere in modo credibile la comunione fraterna e desidera discutere e decidere collegialmente, può essere palestra di democrazia, partecipazione e responsabilità con ricadute positive sull’intera società.

TEMA n. 9

Mente e corpo

81) La contrapposizione ellenistica tra corpo e anima ha profondamente influenzato il cristianesimo nel corso dei secoli e, quindi, anche il protestantesimo. Ma nella Bibbia “corpo” e “anima” sono due modi diversi per designare la totalità dell’essere umano, nella sua creaturalità e nella sua individualità.

82) Il nostro corpo materiale è parte della buona creazione di Dio. Il Salmista celebra il Signore «perché sono stato fatto in modo stupendo … e l’anima mia lo sa molto bene» (Salmo 139, 14) e per Paolo il corpo, nell’unità e nella diversità delle sue membra (cfr. 1 Corinzi, 12) è immagine della Chiesa, vista come corpo di Cristo.

83) La teologia negli ultimi decenni ha riscoperto questa visione e rivalutato il rapporto col corpo, ma non ne abbiamo ancora pienamente colto la portata per la vita quotidiana. Non abbiamo trovato un equilibrio tra esaltazione e svilimento del corpo: la civiltà dell’immagine rimanda a modelli di perfezione e di gioventù inarrivabili, la medicina prolunga la vita biologica, spesso a scapito della qualità della vita biografica e relazionale.

84) Facilmente trascuriamo le buone pratiche quotidiane: una corretta alimentazione e l’attività fisica per stare meglio con noi stessi e con gli altri.

85) Il nostro corpo non è la prigione dell’anima, ma il «tempio dello Spirito Santo» (1 Corinzi 6,19) e come tale va trattato con amore e rispetto, né trascurato né idolatrato. Trascurare il corpo influenza il nostro umore e la nostra disponibilità verso gli altri. Il benessere fisico non è solo immagine, ma equilibrio mente-corpo.

86) L’eccesso e lo spreco di cibo dei “ricchi epuloni” sono l’altra faccia della miseria dei “poveri Lazzari” (Luca 16,19-31). Il nostro rapporto con il cibo non vuole essere idolatrico, ma espressione di gratitudine per il pane quotidiano che nutre la nostra vita e che accogliamo come dono di Dio.

TEMA n. 10

Il cibo: una questione spirituale

87) L’affermazione di Gesù «adoperatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna», pronunziata dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci (Giovanni 6,27), evidenzia la relazione tra cibo materiale e cibo spirituale.

88) Per sopravvivere abbiamo certamente bisogno del pane «dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Matteo 6,11), ma noi cerchiamo Gesù per vivere, non per sopravvivere. La vita, per essere tale, ha bisogno di un pane spirituale che nutra la nostra comunione con Dio.

89) La fame ha spinto Israele in Egitto, dove diventerà schiavo. E nella sua fuga dalla schiavitù verso la libertà sarà nutrito dalla manna. Un dono quotidiano che, se trasformato in accumulo, marcisce: chi troppo, chi niente.

90) I doni di Dio ci sono affidati affinché tutti ne possiamo godere, senza trasformarli in proprietà esclusiva di cui non rendere conto a nessuno; diversamente la nostra impresa finisce in tragedia. L’ingordigia svuota il rispetto del limite a cui Dio stesso c’invita sin dalla creazione.

91) «Mangia pure – Dio disse all’uomo – da ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare» (Genesi 2,17). Il cibo diventa dono di vita nella misura in cui riconosciamo che c’è un limite, che non tutto è a nostra disposizione. Ma le cose andarono diversamente. Dall’avidità di avere tutto, di sforare i limiti, nascono i deliri d’onnipotenza che distruggono la vita. Il cibo è la misura del nostro rapporto con il creato e con Dio.

92) Nutrirsi è una questione anche spirituale su cui riflettere ogni volta a partire dalla tensione tra penuria ed eccesso, tra egoismi e comunione. Tanta parte della nostra vita si svolge a tavola: momento non solo di appagamento, ma anche di riconoscenza che dovrebbe essere espressa per il dono del cibo quotidiano.

93) La nostra fraternità si riscopre e si rinsalda anche intorno alla Cena del Signore. Mangiare con il Signore ci aiuta a capire che i beni materiali a noi affidati sono da utilizzare in un orizzonte di condivisione. Il futuro dell’umanità comincia a tavola: a quella mensa a cui per primo Dio stesso, in Cristo, ci ha invitati, tutti e tutte, nessuno escluso.

TEMA n. 11

Liberaci dal male

94) Il male esiste anche e soprattutto in noi ed è quotidiano (Matteo 6,13), attraversa la storia dell’umanità. Essere cristiani significa ribellarsi con coraggio e determinazione ad esso, schierarsi per il riscatto degli ultimi, di chi soffre, di chi non ha più speranze. L’esistenza del male ci interroga in ogni istante, alimenta dubbi ed incertezze. Gesù è stato attraversato dal male, il Cristo lo ha vinto.

95) Il mondo e l’umanità sono sempre in trasformazione e noi siamo partecipi e attori nei cambiamenti. Il Signore che è venuto tra noi come diacono: «Io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Luca 22,27), coinvolto nella nostra esistenza sino a subire e vincere la morte, ci indica la via della partecipazione critica e solidale verso il mondo. Non giudichiamo da fuori e dall’alto, ma agiamo dal basso e dal di dentro. La costruzione della pace nella giustizia è il primo atto necessario per sprigionare energie in grado di trasformare, fin da subito, la condizione dell’umanità secondo il disegno di Dio.

 

Redazione e revisione a cura di: Tiziana Colasanti, Giampiero Comolli, Marco Godino, Francesca Grazzini, Giorgio Guelmani, Teresa Isenburg, Raffaella Malvina La Rosa, Roberto Peretta, Giuseppe Platone (coordinatore).

Si ringraziano inoltre tutti coloro che  hanno inviato i loro contributi

Foto: La statua di Martin Lutero a Dresda, Germania, di sharonang, by Pixabay, Licenza: CC0 Public Domain