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Protestantesimi e sfida interculturale

Con il titolo L’Église, promesses et passerelles vers l’interculturalité? (Excelsis, 2015), i sociologi [ambedue mennoniti, Ndr] Frédéric de Coninck e Jean-Claude Girondin hanno appena pubblicato una raccolta collettiva molto stimolante sulle sfide culturali che interrogano, tra altri, i circa 40 milioni di protestanti francofoni che stanno costruendo il nostro mondo meticciato.

Nell’introduzione, Frédéric de Coninck ricorda il cammino percorso nello spazio di una generazione. Gli scambi si sono moltiplicati, i prodotti culturali si stanno diversificando, la gamma delle scelte si è allargata. A livello delle chiese, «oggi, le sfide interculturali hanno migrato dalla missiologia verso quella dell’ecclesiologia». Il che significa, in altri termini, che la sfida di conoscere l’altro non si pone più soltanto tra «noi» (vicini) e le terre di missione (lontane). Questa sfida si pone qui e ora nelle chiese locali in Francia.

Una prima parte di questa raccolta collettiva, intitolata «organizzare l’interculturalità nella Chiesa» si interroga sul modo in cui le assemblee sono chiamate ad adattarsi a questo nuovo contesto, per trarne profitto e prevenire i conflitti. Jean-Claude Girondin esplicita così i luoghi concreti della vita di chiesa dove si può vivere l’interculturalità. Egli perora per un’«unità-rizoma» anziché per un’unità uniformizzante: la comunione fraterna, l’esercizio dell’autorità, le forme di culto vengono rivisitate attraverso questo prisma. Egli invita a non dimenticare che l’ecumenismo è anche l’ecumenismo culturale perché l’oikouméné è la terra intera, secondo questo versetto biblico: «Al Signore appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti» (Salmo 24, 1). Partendo dalla sua esperienza del progetto «Mosaïc» della Federazione protestante di Francia (Fpf), la pastora Marianne Guéroult traccia un quadro d’insieme del paesaggio ecclesiale forgiato dall’immigrazione, evidenziando le questioni trasversali (sia teologiche sia pratiche) che si pongono le chiese nate dall’immigrazione in Francia. Sfide che includono la ricerca di un luogo di culto, l’importanza delle reti transnazionali, la dinamica proselitistica. A Nantes e a Rennes, si contavano 2 chiese africane nel 2000, 20 nel 2009 e 31 nel 2011! Essa intervista inoltre il pastore Albert Watto sull’evoluzione della rete Ecoc (Entente et coordination des œuvres chrétiennes). Questa importante unione di chiese, di espressione congolese, si rallaccia oggi al Cnef (Consiglio nazionale degli evangelicali di Francia).

Partendo dall’esempio delle chiese coreane, Henri Chai insiste sulle conseguenze missiologiche della diversità culturale nelle chiese francesi. L’apporto migratorio, lungi dal moltiplicare i ghetti o i «ripiegamenti identitari» (anche se questi ultimi si verificano a volte), ha vocazione a rinnovare una dinamica missionaria sul suolo stesso dell’Europa.

Nella seconda parte del libro, i contributi di Dominique Ranaivoson e di Charles-Daniel Maire illustrano come alcune problematiche emerse all’inizio nel campo della missione o nei rapporti Nord-Sud, sono ormai pertinenti all’interno delle chiese francesi. Il che invita a rinnovare le prospettive, in particolare nel nostro modo di trattare le «memorie coloniali o anticoloniali striscianti». Si riflette abbastanza sull’«immagine miserabilista e uniformizzante» che colloca i migranti fra gli «stranieri», mentre essi sviluppano «competenze uguali a quelle degli autoctoni quando frequentano le stesse università»? Charles-Daniel Maire fa giustamente osservare d’altra parte che «non è raro che delle chiese facciano sforzi per sostenere missionari inviati con grandi spese in altri continenti, ma le stesse comunità fanno magari fatica ad accogliere i migranti che abitano nel loro quartiere!».

La terza parte propone quattro contributi dedicati alle situazioni interpersonali complesse indotte dalla coabitazione di culture diverse. In un’analisi etno-dossologica particolarmente ricca e illuminante, basata sul terreno della musica cristiana delle Antille, Ruth Labeth declina le sfide e le condizioni di uno scambio tra diversi stili musicali, sottolineando la corporeità, ma anche la dimensione comunitaria e conviviale della musica creola, «elemento di prim’ordine nella vita degli abitanti delle Antille (che) partecipa grandemente al loro pieno realizzarsi».

Specialista dei matrimoni interculturali, Jean-Christophe Bieselaar si sofferma sull’adattamento della pastorale a questi specifici contesti familiari. Frédéric de Coninck, in una visuale della sociologia della cultura, e Josépha Faber Boitel, in una visuale della letteratura, completano utilmente questo panorama che Jean-Claude Girondin conclude, in una postfazione, con tre appelli ai protestanti: riconoscere l’alterità, riconciliarsi, e vivere un’etica di reciprocità, «gli uni con gli altri». Tutto un programma…

(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)

Foto: “Harmony Day (5475651018)” by DIAC imagesHarmony Day Uploaded by russavia. Licensed under CC BY 2.0 via Wikimedia Commons.