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Disarmare il linguaggio per disarmare la violenza

Una campagna di solidarietà, di fratellanza, per i cristiani perseguitati e vittime di violenza nel mondo partita da alcuni fedeli musulmani negli Stati Uniti: Muslim 4 Lent, musulmani per la quaresima, che per i 40 giorni prima della Pasqua si priveranno di qualcosa, come gesto di apertura e solidarietà. A Oslo, il 21 febbraio, migliaia di cittadini musulmani e non solo hanno circondato la sinagoga in un abbraccio simbolico, per condannare gli attacchi perpetrati in Europa da gruppi estremisti, a una settimana dall’agguato alla sinagoga centrale di Copenaghen. Diversi gesti, partiti dai social network, che hanno coinvolto migliaia di persone e diverse religioni, per testimoniare ancora una volta che attraverso il dialogo e il confronto è possibile coesistere in modo positivo e crescere insieme. Abbiamo commentato queste notizie con Chaimaa Fatihi, dei Giovani Musulmani d’Italia.

Come avete accolto questi gesti?

«I gesti di solidarietà sono importanti, e li apprezziamo. Vorrei soffermarmi proprio su questa cosa: come musulmani non dobbiamo sentirci in dovere di urlare al mondo che siamo contro il terrorismo e contro quanto accade; al tempo stesso, come esseri umani, e come fedeli di una religione che predica la pace e l’amore, dobbiamo essere solidali verso i nostri fratelli. A maggior ragione quando si tratta di persone che professano una fede diversa dalla nostra, e che sono perseguitate per questo. La nostra attenzione va a quanto sta accadendo, e che coinvolge purtroppo tutte le fedi, non solo quella musulmana o cristiana, e questo gesto ci permette di capire che la solidarietà c’è, bisogna coltivarla e far crescere la pace tra le persone».

Le notizie di violenza sono più raccontate rispetto a quelle di solidarietà?

«Purtroppo, a livello mediatico le notizie come queste sono raccontate poco: come giovani, come musulmani, come italiani e come esseri umani è importante che ci impegniamo per riappropriarci del dialogo e del linguaggio. Ci ritroviamo in un periodo dove il linguaggio viene usato come arma: attraverso le parole vengono uccise tante persone. Dobbiamo disarmare il linguaggio. Siamo fiduciosi che attraverso i gesti quotidiani si possano cambiare le cose. In questi giorni oltre al fatto della quaresima, altri gruppi musulmani hanno fatto una catena umana, in Danimarca, in Norvegia e in altri luoghi, in cui cingevano una sinagoga e una chiesa. In realtà c’è grande solidarietà tra le comunità delle varie fedi, il problema è quando queste fedi vengono strumentalizzate per scopi politici, economici e di potere. Sta a noi diffondere il vero messaggio in cui crediamo».

Come è possibile fare questo?

«Iniziando a diffondere le notizie reali, condannare il prima possibile quei mezzi di informazione che cercano di strumentalizzare le religioni e i fatti, che siano politici o sociali, e denunciare. Come Giovani Musulmani lo abbiamo fatto diverse volte, con le testate che dicevano, ad esempio “macellai islamici”, o altre cose annesse. Sono titoli che rimangono impressi nella mente delle persone, e che creano conseguenze. In America, nel Nord Carolina, sono stati uccisi tre ragazzi musulmani, proprio perché erano musulmani, da uno che si autodefiniva ateo estremista, e anche di questo si è parlato poco. Ma noi non vogliamo fare lo sporco gioco che si è fatto in questi mesi, e che ci è stato chiesto di fare come comunità musulmana, di dissociarci dall’Isis e dai terroristi. Vogliamo cercare e denunciare le criminalità da ogni parte».

Questi gesti sembrano voler dimostrare al mondo che i musulmani sono una cosa diversa dal fondamentalismo che viene raccontato.

«L’essere appartenente a una fede è già di per sé un modo, quotidiano, di far capire quello che si è attraverso i propri gesti. Anche quelli che non erano praticanti in modo totale, forse oggi si stanno avvicinando ancora di più alla propria fede proprio per far capire cosa significa essere musulmani. Credo che anche questo sia una conseguenza di questi fatti».

Come si inserisce questo discorso nella vostra attività?

«Come Giovani Musulmani stiamo facendo molte attività per far conoscere la nostra fede e farci conoscere per quello che siamo, parte integrante di questa società. Non siamo qualcosa di estraneo. C’è stato un tavolo di discussione al Ministero dell’Interno con il ministro Alfano, e tra i vari rappresentanti della comunità musulmana, c’eravamo anche noi di Gmi: un grande passo e un grande segnale per far ascoltare la nostra voce, per parlare con noi, non solo di noi».

Ascolta l’intervista completa su Radio Beckwith