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Italia, nazione di adozioni internazionali

A seguito di una serie di sentenze della Cassazione, e a seguito di casi in cui la commistione fra cronaca e etica è risultata assai stretta, si è tornati a parlare molto in questi mesi di fecondazione eterologa, di quella tecnica genetica per la riproduzione in cui uno dei due componenti, il seme maschile o l’ovulo femminile, è esterno alla coppia.

La legislazione in materia in varie nazioni europee è già in fase molto avanzata perché da ormai dieci anni la pratica è consolidata, mentre in Italia il tema ha sempre scatenato aspri dibattiti e vere e proprie crociate.

Forse è anche questa una delle ragioni per cui storicamente il nostro Paese è il secondo al mondo per numero di adozioni internazionali, subito dopo gli Stati Uniti: sono state 2825 nel 2013. Numeri spesso poco noti al grande pubblico ma molto elevati, che però per la prima volta da anni sono scesi sotto la soglia delle tremila unità.

Dietro ognuna di queste adozioni esiste una famiglia che ha affrontato un iter troppo farraginoso, troppo costoso, troppo stressante, con lo scopo ultimo di offrire una stabilità a centinaia di migliaia di bambini in tutto il mondo. Famiglia che in Italia deve essere “tradizionale” perché solo in casi eccezionali sono state concesse adozioni, nazionali però, a single che avevano già in affido un minore. Per le adozioni internazionali anche questo discorso è ancora in alto mare.

Abbiamo incontrato Gianfranco Arnoletti, presidente di Cifa Onlus, il più importante ente italiano che si occupa di adozioni internazionali, attivo dal 1980 con sedi in tutta Italia, la principale a Torino, per ragionare sullo stato dell’arte nel nostro Paese. «E’ vero che di questi temi in Italia si parla soltanto quando accadono situazioni emergenziali. L’adozione pare passata di moda e le ragioni sono parecchie: dalla crisi economica che condiziona in prospettiva le scelte delle famiglie, alle legislazioni poco chiare in materia qui da noi, e alle relazioni non semplici con alcune nazioni con cui collaboriamo, che spesso bloccano iter in corso o creano colli di bottiglia che dilatano molto i tempi rendendo angosciosi i mesi in attesa». Un po’ come è valso per la situazione in Congo che ha riportato l’adozione sulle prime pagine dei giornali: «Esatto; la notizia mediaticamente vendeva bene, per cui vi è stata molta attenzione, rivolta in primis ai genitori italiani, scordando con un po’ troppa facilità il dramma di quei bambini che hanno incontrato le loro future mamme e i loro futuri papà per poi doversene separare di nuovo. E ora a distanza di molti mesi la situazione è ancora in stallo. Noi non adottiamo in Congo ma abbiamo seguito con molta attenzione la questione perché è esemplificativa del pressapochismo con cui si è affrontato il tema adozioni negli ultimi anni. Naturalmente speriamo di veder risolta questa brutta storia nel modo migliore e in tempi rapidi».

Tornando sulle leggi di settore, in Italia la situazione è al palo, mentre più dinamismo pare esserci sul tema fecondazione: «Rispetto assolutamente chi sceglie di avvalersi della fecondazione eterologa, ma non possiamo negare che ci piacerebbe venisse dedicata la stessa attenzione anche all’adozione, una forma di genitorialità che merita altrettanto rispetto e interesse. Prima di tutto vanno tutelati i bambini già nati, ma in tanti sembrano dimenticarsene». L’attenzione a chi c’è già ha portato il Cifa ad impegnarsi in progetti di cooperazione in molte zone critiche del nostro pianeta, aiutando concretamente i moltissimi bambini che rimangono in loco e non avranno mai una situazione familiare stabile (alcuni di queste azioni sono finanziate anche dall’otto per mille della Chiesa valdese): «Questo perché, lo ripeto, la priorità va data ai bambini, e non il contrario. Non è un vezzo delle famiglie avere un figlio, ma in primis un diritto del bambino a vivere in una famiglia e in un contesto sicuro».

Dopo mesi di “sede vacante” e poca chiarezza su competenze e deleghe nella gestione dell’elaborato quadro delle adozioni internazionali, proprio nei giorni scorsi la maggioranza del primo ministro Matteo Renzi ha dato un segnale presentando un disegno di legge che prevede un rimborso di 5 mila euro per le coppie che decidono di adottare, e questo è, per Arnoletti, «per lo meno un segnale di attenzione. In alcune regioni la nascitura fecondazione eterologa sarà completamente gratuita, mentre l’adozione internazionale ha costi burocratici assai elevati, a cui vanno sommati quelli per i viaggi. Sono queste disparità di condizioni che ci amareggiano, perché la dignità dovrebbe essere uguale per tutti. Non possiamo negare che attendiamo fiduciosi un intervento del Governo affinché vengano dipanate matasse spinose, come quella per esempio dei rimborsi per le spese adottive. Qualcosa pare muoversi, cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno».

Altro tema che saltuariamente riaccende i riflettori sull’adozione è se riservarla o meno anche alle coppie omosessuali, e Arnoletti chiude ripetendo come un mantra la centralità del bambino: « Non generalizzerei su una categoria piuttosto che su un’altra. Non mi sento di dire sì o no all’omogenitorialità, per esempio. Quello di cui sono convinto è che va trovata la famiglia migliore per ogni bambino, hic et nunc. E se un giudice valuta un single piuttosto che una coppia di fatto come la miglior soluzione per il bene del futuro figlio, allora ben venga. La società sta cambiando, e non possiamo fare finta di niente, pur rispettando la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui si va ad adottare».