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Burkina Faso: la situazione umanitaria dopo la rivoluzione

Il 30 ottobre sono scoppiate grandi rivolte in Burkina Faso, dopo che il presidente Compaoré ha presentato un disegno di legge per la modifica della costituzione per riuscire a presentarsi con un altro mandato, dopo 27 anni di governo. Gli scontri hanno provocato 33 morti e molti danni soprattutto alle strutture amministrative, come la sede del che è stata incendiata. Il potere è stato preso dall’esercito, che si è imposto come forza di transizione. Ne abbiamo parlato con Luca Iotti, presidente dell’Ong Bambini nel deserto, che operando in Burkina Faso, ha assistito alla rivolta dall’interno.

Rivoluzione, golpe, primavera nera: questa mobilitazione è stata chiamata in molti modi, cosa ne pensa?

Anche se ora al potere c’è l’esercito, non possiamo parlare di golpe perché la rivoluzione è stata popolare: voluta dalla società civile del Burkina Faso, stanca di 27 anni di una dittatura del presidente Campaoré nata, quella sì, da un colpo di stato quando venne ucciso il presidente Thomas Sankara. Siamo di fronte a una rivolta popolare, a una rivoluzione voluta fortemente dai cittadini del Burkina Faso che per primi, prima dei militari, si sono impegnati lungo le strade per dire no al referendum che avrebbe voluto il presidente, per potersi ricandidare. Poi la situazione è andata oltre, ci sono stati 33 morti, il Parlamento è stato incendiato e i politici sono stati costretti a fuggire. Il governo di Compaoré era un governo fantoccio, dominato dagli interessi del nord del mondo, prima tra tutti la Francia, non sicuramente gli interessi della gente. I burkinabé sono stanchi di essere tra i più poveri del pianeta nonostante le potenzialità della propria terra, e senza poter controllare le proprie risorse e ricchezze, come l’oro o il cotone.

Voi eravate presenti sul territorio durante gli scontri, come li avete osservati?

Il giorno in cui la popolazione rivoltosa ha incendiato l’assemblea nazionale e poi saccheggiato le case del fratello del presidente io mi trovavo a 200 Km dalla capitale, ma ci arrivavano molte comunicazioni dai nostri contatti a Ouagadougou. Anche le persone dei villaggi che erano intorno a noi erano attonite da quello che stava succedendo. La comunicazione della nostra ambasciata è stata importante, che ha supportato ed è sempre stata in contatto con gli italiani cooperanti che erano nel paese. La situazione è stata di grande tensione per la popolazione, con incendi, strade bloccate e morti. Non era un attacco guidato contro le forze occidentali, ma contro la dittatura, quindi non ci sono stati problemi per noi. Detto questo appena si sono riaperti gli aeroporti tutti sono corsi a cercare un volo. Se l’esercito avesse reagito sarebbe stata una carneficina. Una volta che il presidente è fuggito in Costa d’Avorio, i militari hanno cercato di prendere in mano la rivoluzione. Ma alla società civile non è andato bene: alcuni capi di stato dei paesi confinanti, con i rappresentanti delle Nazioni Unite, e dell’UE, hanno intimato all’esercito di passare il potere alle elezioni civili dopo una transizione di tre mesi, con la minaccia di interrompere gli aiuti umanitari.

Come operate in Burkina Faso?

Bambini nel deserto lavora nel paese da 12 anni in tutti i settori della cooperazione: acqua, autonomia alimentare, istruzione, sanità, sviluppo economico attraverso il microcredito. Ora più che mai bisogna agire con più impulso, con la speranza che un giorno il paese non abbia più bisogno di questi interventi. La Tavola Valdese, con l’otto per mille, per noi rappresenta uno straordinario bacino di fondi per la realizzazione dei progetti, più di dieci negli ultimi anni. A noi vengono destinati fondi non solo per il Burkina, ma anche per il Ciad, dove lavoriamo contro la malnutrizione, in Niger, dove lavoriamo per l’autonomia alimentare, in Marocco, dove da anni costruiamo e ristrutturiamo scuole: è una fortuna che ci sia una struttura così lungimirante da essere in grado di destinare i fondi in questo modo, a progetti concreti e reali.

Quali sono ora le prospettive politiche per il paese?

Con la scomparsa dell’ex ministro degli affari esteri di Sankara, l’opposizione si è indebolita e frammentata. I passi successivi sono per tre mesi per organizzare le elezioni, dopo i quali speriamo che le operazioni vadano per il meglio. Non possiamo che sperare che il prossimo presidente del Burkina Faso sia un illuminato. Anche il nord del mondo dovrà fare la sua parte: saremo interessati e disponibili a permettere ai Burkinabé di percorrere la propria strada senza intrometterci? Dobbiamo sperare e continuare a fare pressioni sui nostri paesi perché continuino a sostenere lo sviluppo del paese per fare in modo che non abbia più bisogno di noi.

Foto via Flickr