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I fondi UE non vanno utilizzati per rafforzare strumenti militari

I membri di Church and Peace – Rete ecumenica europea delle chiese pacifiste che raccoglie comunità, centri di formazione, organizzazioni pacifiste e agenzie di servizi per la pace – hanno espresso una chiara opposizione alle recenti raccomandazioni della Commissione europea sui temi della sicurezza e della difesa.

Il 7 giugno scorso la Commissione europea ha lanciato il Fondo europeo per la difesa, che andrà a favorire l’industria europea degli armamenti.

La presentazione del nuovo fondo è coincisa con la pubblicazione di un documento di riflessione sul futuro della difesa europea da qui al 2015. Il rapporto delinea tre possibili scenari per il futuro della sicurezza e della difesa dell’UE: la prima ipotesi è quella di proseguire con l’attuale «cooperazione nella sicurezza e nella difesa» su base volontaria e con decisioni prese caso per caso. Il secondo scenario, quello di una «Difesa e sicurezza condivisa», prevede che gli Stati membri mettano in comune «alcuni asset finanziari e operativi» nel campo della sicurezza e adottino un sistema di decision making comune. La terza prospettiva è quella di una «Difesa e sicurezza comune»: l’Unione europea adotterebbe una politica di difesa unitaria e potrebbe condurre operazioni militari attraverso l’integrazione tra le forze armate degli Stati membri.

Church and Peace, nel corso dell’Assemblea generale annuale tenutasi a Strasburgo dal 9 all’11 giugno, ha sottolineato che due dei tre scenari futuri proposti nel documento di riflessione della Commissione europea sono sbilanciati sulla costruzione di un’Unione europea della sicurezza e della difesa, basata sulla logica che «l’instabilità crescente in Europa e nel mondo, e le nuove minacce di sicurezza derivanti da fattori economici, ambientali e tecnologici presentano importanti sfide per la nostra sicurezza».

Secondo Church and Peace, il Fondo europeo per la difesa invece di promuovere il coordinamento tra i piani di armamento degli Stati membri, con il conseguente risparmio di notevoli somme di denaro, andrà a favorire e incrementare l’industria degli armamenti.

La proposta legislativa della Commissione europea prevede di allocare a favore dell’industria a produzione militare circa 500 milioni di euro di fondi in più rispetto a quanto già previsto dal “Defence Action Plan” del novembre 2016. Il denaro verrà recuperato da linee di bilancio non spese nel biennio 2019-20.

Preoccupante – secondo Church and Peace – la politica della Commissione europea che sposta somme di danaro non spese sull’industria delle armi, a fronte dei pochissimi fondi destinati ad ambiti cruciali per la pace, come ad esempio il programma UE per i diritti umani o gli interventi per la prevenzione e risoluzione dei conflitti condotti da attori locali della società civile che ricevono solamente 6 milioni di euro all’anno dall’Unione.

Secondo le previsioni, i fondi a disposizioni delle aziende armate andranno addirittura ad aumentare dal 2021 con un contributo previsto di 1, 5 miliardi di euro annui.

Secondo Church and Peace il crescente investimento sulla politica militare dell’Unione europea, basata soprattutto sulla sicurezza e sulla difesa, non solo rappresenta un grande cambiamento nel bilancio dell’UE, ma modificherebbe il carattere fondamentale dell’Unione europea stessa.

«Ci preoccupa il cambiamento paradigmatico dell’Unione europea da progetto di pace e riconciliazione a luogo di crescente militarizzazione attraverso l’ingente spostamento dei fondi destinati al lavoro per la pace e agli aiuti allo sviluppo, ad altri obiettivi come la creazione di capacità militari o il controllo della migrazione», ha affermato la presidente di Church and Peace, Antje Heider-Rottwilm.

Alle maggiori sfide dell’epoca attuale – tra cui, la disuguaglianza su scala globale, il cambiamento climatico, i processi migratori, la proliferazione nucleare, il terrorismo – l’Unione europea dovrebbe rispondere con coraggiosi investimenti sulla prevenzione e risoluzione dei conflitti e su azioni che siano in grado di affrontare le cause alla base dell’instabilità internazionale, anziché dirottare fiumi di denaro sull’industria militare che sta fornendo la benzina per il fuoco dei conflitti armati in tutto il mondo.

Immagine: via istockphoto.com