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Il lavoro nel tempo dei robot

Dei due grandi problemi della nostra epoca, quello ambientale e quello del lavoro che manca e della conseguente disoccupazione, il secondo sembra il più difficile da risolvere. Infatti per l’ambiente, a parte alcuni eventi climatici estremi, come i terremoti, l’azione di prevenzione e di salvaguardia, insieme al decisivo impiego di energie rinnovabili e la riduzione consistente dell’inquinamento, può produrre dei miglioramenti decisivi. Anche se non è certo che le risorse idriche o alimentari saranno sufficienti per una popolazione mondiale che cresce troppo e, per lo meno nei paesi «benestanti», ha una vita troppo lunga, spesso sostenuta artificialmente solo con spese sanitarie costose e per lo più inutili, la sostenibilità può essere un obiettivo realizzabile. E anche dai terremoti ci si potrebbe difendere in parte con l’uso sensato del terreno su cui si edifica e con sistemi costruttivi già positivamente sperimentati.

Invece il lavoro nel tempo dei robot non sarà sufficiente, per un numero crescente di persone, a sostenere le necessità di reddito, di vitto, di abitazione, di cura. In parole semplici e brutali: come faranno a vivere i milioni di persone che sicuramente perderanno il lavoro, saranno licenziati, non troveranno un altro impiego o solo in parte potranno trovare uno dei nuovi lavori che saranno prodotti da questa quarta rivoluzione tecnologica, quella digitale (e dell’intelligenza artificiale)? Perché questo colossale e drammatico problema non diventa l’assoluta priorità del Parlamento, la prima preoccupazione dei partiti, il compito dei tanti convegni e studi di scienziati, industriali, sindacati, Università, ricerca?

In verità le analisi e in parte anche alcune proposte ci sono. Specialmente nei paesi dove l’automazione è più forte e diffusa, non solo nei settori amministrativi e produttivi, ma ad esempio anche nell’aiuto ai pazienti in ospedale, dalla fisioterapia, alla ginnastica, all’alimentazione. Lo scorso anno fu presentato al tradizionale convegno di Davos (Svizzera) un documento basato su interviste a manager di aziende che occupano 15 milioni di persone nel mondo. I risultati mettono i brividi: tra il 2015 e il 2020 si prevede una perdita di più di 5 milioni (7 milioni di posti persi fra gli impiegati e 2 milioni di posti in più nel settore industriale dei computer). Un’altra ricerca attendibile (Mit di Boston) riguarda gli Stati Uniti e documenta il fatto che, per ogni robot introdotto ogni mille persone, si perdono fino a 6 posti di lavoro, i salari calano del 0,75% e, come al solito, le più colpite sono le donne.

Purtroppo i governi, i sindacati, i politici finora hanno fatto proposte che vanno, con varie sfumature, nella direzione del tamponamento, dei cosiddetti «ammortizzatori sociali», del sostegno alle famiglie a basso reddito con figli (utili, ma non risolutivi). Una svolta si è verificata quando anziché di reddito garantito o di cittadinanza si è parlato di reddito da lavoro, proposta certamente più vicina all’art. 1 della nostra Costituzione. Fa riflettere che Renzi abbia ripreso allora nella sostanza alcune proposte del centro-destra, che prima ancora erano state di Vendola. Ma come si produrrebbe concretamente questo reddito? In pratica con dei lavori «statali» quando non ci siano sufficienti lavori nel libero mercato. Vien da pensare ai «lavori socialmente utili», che furono in grandissima parte un flop. Insomma la soluzione è ancora lontana: è certo però che non potrà esser praticata se non con un consistente intervento dello Stato, nelle sue articolazioni territoriali.

Tornando all’inizio di questo articolo, dove dicevamo dei lavori di cura dell’ambiente e delle persone, può darsi che nel futuro ci sia una crescita esponenziale di lavoro in questi ambiti. Il robot può imboccare un malato, ma non gli fa compagnia e non conosce i suoi parenti. Per la cura dell’ambiente ci sono ancora lavori da fare con pala e piccone, senza macchinari. Pensiamo ai terrazzamenti e ai muretti di sostegno da controllare ogni anno, alla manutenzione dei sentieri… Sono proprio i lavori di cura dell’ambiente e delle persone che avranno un futuro a prescindere dai robot: naturalmente alla fine ci dev’esser lo Stato che li paga, o le unioni-fusioni dei Comuni o le Regioni, come peraltro già avviene in Toscana, in Emilia, Friuli…

Immagine: via Pixabay